"Quel peschereccio è stato affondato". Dopo 17 anni, la verità sulla tragedia del "Francesco Padre"


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La telecamera sul relitto

Le ultime immagini dal relitto del "Francesco Padre" colato a picco a 20 miglia dalla costa montenegrina nel novembre del 1994, dicono che la barca è stata attaccata a colpi di mitragliatrice. Quasi esclusa l'esplosione accidentale causata da armi e munizioni contrabbandate. Chi ha sparato? La Nato o i montenegrini che chiedevano il pizzo ai pescatori? Tra i reperti torna a galla anche quello che potrebbe essere un osso umano

BARI – Una lapide, i fori di vecchi proiettili. Forse un pezzo di osso umano recuperato 17 anni dopo. E un mistero d'Italia che sembra riaprirsi. Era la notte tra il tre e il
4 novembre del 1994 quando un motopeschereccio partito dalla marina di Molfetta, il Francesco Padre, affondò misteriosamente in acque internazionali, tra l'Italia e il Montenegro. A bordo c'erano cinque pescatori.
Nessuno di loro è mai tornato a casa. Diciassette anni dopo una lapide è stata posta in fondo al mare, a 250 metri di profondità, con scolpiti i nomi delle cinque vittime (il comandante Giovanni Pansini e i marinai Luigi De Giglio, Saverio Gadaleta, Francesco Zaza e Mario De Nicolo) di questa strage dimenticata. E' successo quindici giorni fa, mentre ieri sono stati portati a galla una serie di reperti, tra i quali quello che sembrerebbe il resto di un osso umano.
Forse quello dei marinai. Questa strage che ora però potrebbe vedere accanto ai nomi delle vittime quelli degli assassini. Dopo anni di punti interrogativi, la verità sta venendo alla luce. La procura di Trani ha riaperto l'inchiesta sull'affondamento del peschereccio e ha ottenuto che un robot e un palombaro scendessero per la prima volta la sul fondo per recuperare tutto quello che era recuperabile: una spedizione finanziata con 600mila euro del comune di Molfetta, 100mila della Regione e mezzi all'avanguardia messi a disposizione dalla Marina militare.

Una prima risposta è già arrivata: il Francesco Padre è affondato perché mitragliato, come testimoniano i fori ancora chiaramente visibili sulla fiancata del relitto. Potrebbe essere il fuoco amico della Nato, che in quel momento presidiava le coste della Jugoslavia in guerra. O forse una ritorsione del governo Djukanovic che all'epoca pretendeva tangenti sul pescato. Ecco perché ora il procuratore capo Carlo Maria Capristo ha dato mandato a una serie di periti di capire chi possa aver sparato il peschereccio. Solo così si potrà capirne il perché. 

Nella prima inchiesta i pm Pasquale Drago ed Elisabetta Pugliese hanno ritenuto che il peschereccio trasportasse armi insieme a reti. Ed era appunto nel contrabbando delle munizioni (in quel periodo in Jugoslavia era in corso la guerra) che andava cercato il motivo dell'affondamento del Francesco Padre. Si parlò di un'esplosione dall'interno della barca, sulla base di una consulenza d'ufficio. Un'ipotesi questa, però, alla quale non hanno mai creduto i familiari delle vittime che dopo aver presentato una serie di esposti hanno ottenuto dal procuratore Capristo che l'inchiesta fosse riaperta.

Come primo passo i magistrati hanno voluto che per la prima volta si andasse a esaminare il relitto, che si trova 20 miglia  a Sud-Ovest della città montenegrina di Budva. Al recupero sta lavorando la nave tecnologica "Anteo" della Marina militare, specializzata nelle ricerche sui relitti: nella prima parte è stata realizzata una prospezione esplorativa sui fondali con un minisommergibile, per raccogliere dati e immagini (una prima esplorazione fu compiuta a giugno del 1996, durante la prima inchiesta, sfociata nell'archiviazione).
Quindi sono stati inviati sul fondale i "Rov", agili robot dotati di mezzi di ripresa, al fine di recuperare altre prove, più precise, utili alle indagini. In base a quello che risulterà dalle ispezioni, la Procura di Trani deciderà quali parti del "Francesco Padre" dovranno essere riportate in superficie. Nello stesso tempo si cercherà d'individuare i resti dei componenti dell'equipaggio. Il recupero delle spoglie non sarà solo un atto di pietà ma consentirà esami medico-legali da cui si potranno ricavare importanti tasselli per accertare le cause e dunque le responsabilità dell'affondamento.

Al momento si indaga per omicidio volontario a carico di ignoti. Le piste seguite sono diverse: c'è quella militare, la più inquietante, per cui non può escludersi che l'imbarcazione sia colata a picco colpita perché colpita da uno dei mezzi che si trovava in quel tratto di mare impegnato, come altre unità navali, in un'operazione della Nato (Sharp Guard, la risoluzione dell'Onu che imponeva l'embargo su Serbia e Montenegro) ai tempi del conflitto nei Balcani. C'è poi la possibilità che il motopeschereccio sia affondato dopo aver issato a bordo una delle tante mine disseminate lungo l'Adriatico per impedire da parte dei paesi della ex Jugoslavia l'accesso alle forze nemiche. Tra le ipotesi anche quella della ritorsione degli equipaggi delle navi montenegrine che in quegli anni avrebbero imposto tangenti sul pescato. A suffragare questa ipotesi il comportamento delle autorità serbo montenegrine che non è mai stato collaborativo in altre inchieste giudiziarie che hanno visto coinvolti marittimi italiani.

Collaborazione che invece da Trani stanno ricevendo dal Governo, oltre che dalle autorità internazionali attraverso decine di rogatorie per ottenere carteggi ritenuti importanti per le indagini. Non è un caso che la procura di Trani ha appena acquisito una copia degli atti relativi all'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Bari su presunti traffici di esplosivi tra la Puglia e il Montenegro: nel settembre del 1994, qualche mese dopo la tragedia, emerge dai verbali che proprio un molfettese, Domenico Sasso, avesse fatto da intermediario con il proprietario di un'imbarcazione iscritta nel compartimento di Anzio e con un'organizzazione montenegrina, capeggiata dal parente di un influente uomo politico slavo, per ottenere una sorta di "permesso" per la pesca nelle loro acque territoriali. Il pizzo da corrispondere, secondo quante accertò l'inchiesta, era pari alla metà del valore del pesce che doveva poi essere venduto in Italia. Chi non pagava rischiava addirittura di essere sequestrato. Il 2 giugno del 1993, invece, un altro un pescatore molfettese, Antonio Gigante, ucciso il 2 giugno del 1993 morì mentre era imbarcato su un natante di Manfredonia, mitragliato dopo lo sconfinamento nelle acque territoriali da una motovedetta serbo-montenegrina. Le autorità italiane non riuscirono mai ad ottenere il nome del comandante dell'imbarcazione da cui fu fatto fuoco. Diciassette anni dopo le cose potrebbero cominciare a cambiare.
TG 19.10.11 Montenegro, i palombari tornano in mare per il 
ANTENNASUD

‘Francesco Padre’: recuperare per affondare?

Una risposta a “"Quel peschereccio è stato affondato". Dopo 17 anni, la verità sulla tragedia del "Francesco Padre"”

  1. SPERO CHE ALLA FINE  QUALCUNO CHIEDA UMILMENTE PERDONO ALLE FAMIGLIE DI QUEI POVERI LAVORATORI MORTI PER CHISSA' COSA. NON DIMENTICHIAMO LA TRAGEDIA DI USTICA CHE CI E' STATA SEMPRE NASCOSTA LA VERITA' PERCHE' SICURAMENTE MINAVA LA SICUREZZA POLITICA DI QUALCHE PARTITO.

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