All’alba dell’8 ottobre 1996 Molfetta si svegliò col rombo degli elicotteri e il grido delle sirene. Centinaia di carabinieri misero la parola “fine” a un vasto traffico di stupefacenti.
“Reset bancomat” il nome dell’operazione, destinato a entrare nella storia di questa città. I “bancomat” in questione erano le aperture nelle pareti del centro storico, dove le dosi confezionate erano pronte per la vendita.
Più di cento gli imputati. Pesanti le condanne, molte delle quali già scontate o ridotte dall’indulto approvato nel 2006. Non mancarono le confische di beni.
La struttura scoperta dagli inquirenti era così ramificata che il “processo madre” aprì le porte a un altro procedimento, il “Reset bis”, giunto al secondo grado di giudizio. Determinanti i collaboratori di giustizia, che si sono trovati in alcuni casi ad accusare familiari.
Delle 40 persone di cui fu chiesto il rinvio a giudizio, ne sono arrivate al dibattimento circa la metà. Le condanne in primo grado andarono da circa 6 a 10 anni di reclusione. Per loro il sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Bari, Angela Tomasicchio, ha chiesto nell’udienza di ieri in molti casi la conferma delle pene inflitte in primo grado (ad eccezione delle aggravanti nei confronti di alcuni imputati).
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 13 dicembre. Sarà la volta della difesa e in particolare dell’avvocato Maurizio Masellis, che punta alla riforma della sentenza nei confronti dei suoi assistiti.