La “Malamovida” è anche un reato: lo dice la legge!

Quale contributo può fornire il diritto nell’affrontare la Malamovida? L’occupazione del territorio en plein air, realizzata sostituendo ai cavalli di frisia e ai posti di blocco, pedane, sedie, tavolini, che attirano folle di chiassosi consumatori, avviene in danno di una parte rilevante della comunità cittadina, che si vede costantemente aggredita in una serie di diritti fondamentali: al riposo; alla salute; al lavoro; allo studio; alla intimità familiare; alla integrità paesaggistica del territorio; alla mobilità di anziani e bambini.
 
Non saprei trovare esempio più efficace di quanto sia poco diffusa la consapevolezza che il far parte di una stessa comunità impone dei doveri nei confronti degli altri, a partire dal rispetto dell’altrui sfera individuale.
Tema, quello dei doveri, che nel dibattito pubblico, concentrato sui diritti, appare relegato in secondo piano, dimenticando che la stessa Costituzione, sin dalle sue prime disposizioni (artt. 2 e 4), nel delineare i principi fondamentali della comunità statale, sottolinea il nesso indissolubile che lega i doveri ai diritti. Questo sfregio permanente al volto della città, può essere rimosso, attraverso quella che il geografo e urbanista Ash Amin chiama una “ecologia dell’incontro”, da realizzare “nei tanti spazi della città in cui l’incontro sociale avviene in maniera effimera (strade, mezzi di trasporto pubblico, quartieri, punti vendita)”. In cui, e mai definizione mi sembrò più felice nel descrivere la cifra di quello che accade nei “baretti”, “l’atmosfera del luogo tende per lo più a consumare il contatto sociale piuttosto che a tentare di costruirlo”.
 
In questa prospettiva si aprono decisivi spazi di intervento per il diritto, cui spetta, innanzitutto, il compito di regolamentare l’utilizzazione degli spazi urbani, per costruire, come evidenziato dalla pubblicistica più avvertita, un pluralismo urbano in cui possano convivere e prosperare interessi diversi. Da tempo, inoltre, gli studi e le prassi applicative messi in campo da criminologi, architetti, giuristi e amministrazioni pubbliche nell’ambito della cosiddetta Cpted (Crime Prevention Through Environmental Design), hanno evidenziato come sia concretamente possibile prevenire fenomeni criminali, attraverso un’accorta opera di disciplina e di istituzione degli spazi urbani, in grado di migliorare la qualità della vita. Ma il diritto svolge un’altra importante funzione, che è quella di prevenire e reprimere le condotte penalmente rilevanti, lesive dei diritti altrui.
Dal nostro codice penale non è stata cancellata la contravvenzione di cui all’art. 659, che vieta il disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone, norma destinata a tutelare, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla fine degli anni ’60, la tranquillità pubblica, intesa come condizione psicologica collettiva relativa all’assenza di perturbazione o molestia all’interno della comunità, da assicurare alle persone, sia come singoli che come collettività.
 
In questo senso è costante sino ai nostri giorni l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio, che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, essendogli imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’Autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica.
Potrebbe sembrare eccessiva questa preoccupazione di perseguire reati contravvenzionali in una città che conosce ben altre aggressioni criminali. Tuttavia, anche a non voler considerare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, non c’è chi non veda come il lasciar correre significhi proprio non comprendere che il rispetto di norme finalizzate ad assicurare il bene comune della quiete pubblica sia necessario a creare quella coesione tra cittadini e tra questi ultimi e le istituzioni, che rappresenta la base di partenza su cui costruire il contrasto alle organizzazioni camorristiche operanti sul territorio, che nella Malamovida potrebbero vedere (se non l’hanno già visto) l’ennesima occasione di infiltrazione criminale e di riciclaggio dei loro proventi illeciti. Il momento di passare dalla Malamovida alla Città conviviale non può essere più rimandato e il diritto può fornire gli strumenti giusti per rendere questo obiettivo realizzabile.

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