Tangenti al capo della Protezione civile, perquisito il fratello sacerdote: la finanza a casa di don Tommaso Lerario

L’operazione della Finanza è stata effettuata soltanto nell’abitazione del sacerdote ad Acquaviva delle Fonti il 30 dicembre. Il prelato è cappellano all’ospedale Miulli, che è estraneo all’indagine – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Non solo l’ex capo della Protezione civile Mario Lerario ma anche il fratello sacerdote Tommaso, cappellano dell’ospedale ecclesiastico Miulli ad Acquaviva delle Fonti, al centro delle indagini della Procura di Bari. Dopo l’arresto per corruzione dell’ormai ex dirigente regionale, il 23 dicembre, qualche giorno fa gli uomini della guardia di finanza si sono presentati nell’abitazione di Tommaso Lerario (che non è indagato) con un decreto di perquisizione. Il sospetto, tutto da verificare, è che il sacerdote possa aver custodito il denaro o i segreti (o entrambi) del più famoso fratello.

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La storia di cui Lerario è protagonista è di quelle brutte perché racconta di presunti appalti dirottati verso imprenditori amici e di tangenti ricevute in cambio, sotto forma di denaro o altre utilità. Gli attori per ora sono l’ex capo della Protezione civile, il fratello sacerdote, il funzionario regionale Antonio Mercurio e sei imprenditori. Ma sul fatto che l’inchiesta sia destinata ad allargarsi non ci sono dubbi, così come sulla possibilità che l’accelerazione impressa il 23 dicembre – dopo che Lerario fu trovato con in mano 10mila euro consegnati dall’imprenditore foggiano Luca Leccese – possa portare presto a importanti sviluppi.

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A casa del sacerdote

La perquisizione è stata effettuata soltanto nell’abitazione di don Tommaso Lerario, ad Acquaviva delle Fonti, il 30 dicembre (l’ospedale è estraneo all’indagine), ma la visita è stata caratterizzata da un tale riserbo che fino a poche ore fa non se ne era avuta notizia. Il decreto è stato firmato dal procuratore Roberto Rossi e dall’aggiunto Alessio Coccioli ed eseguito dai militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza, guidati dal colonnello Luca Cioffi.

Della perquisizione è stata tempestivamente informata anche la Diocesi di Gravina-Altamura-Acquaviva delle Fonti, a cui fa riferimento don Tommaso nella sua qualità di cappellano dell’ospedale Miulli. Gli investigatori hanno cercato prove che possano mettere in collegamento il sacerdote con le attività del fratello, dalle quali è formalmente lontano. I due hanno un ottimo rapporto, però, e il sospetto degli inquirenti è che Tommaso possa avere aiutato Mario a nascondere una parte del denaro contante, che potrebbe essergli stato consegnato da imprenditori favoriti negli appalti.

Del resto, a casa di Mario Lerario durante la perquisizione del 23 ottobre sono stati trovati circa 20mila euro divisi in vari nascondigli (sia nella camera da letto sia in un seminterrato), che si sospetta siano quelli consegnati il giorno precedente dall’imprenditore nocese Donato Mottola. Nell’auto, invece, aveva i 10mila euro dati da Leccese. Entrambi gli imprenditori non hanno potuto negare di avere dato quei soldi, di fronte alle prove incofutabili come la videoregistrazione della consegna nel caso di Leccese e una telefonata intercettata con la moglie per Mottola.

L’impegno del sacerdote

Don Tommaso Lerario è uomo molto conosciuto in Puglia. Da circa un decennio lavora all’ospedale ecclesiastico di Acquaviva, centro di eccellenza sanitaria gestito dalla Chiesa in cui vanno a farsi curare politici e importanti imprenditori. Da quelle stanze e quei corridoi, probabilmente, Lerario prete ha dispensato favori a più d’una persona, come dimostra indirettamente il fatto che lo stesso Mottola – nel suo primo interrogatorio – ha cercato di giustificare la consegna del 20mila euro all’allora capo della Protezione civile regionale, come un regalo per la velocizzazione di una visita a sua moglie ottenuta tramite don Tommaso.

Il sacerdote è anche molto attivo nel sociale e ha curato progetti di aiuto a persone in difficoltà lontano dall’Italia, come quello di cooperazione sanitaria “Miulli for Madagascar”. Nel 2018 è stato nominato dalla giunta regionale come compoente del Comitato etico per la sperimentazione clinica dei medicinali del Policlinico di Bari, con competenza su tutte le aziende sanitarie della provincia.

Dopo la perquisizione

È difficile ipotizzare quale sarà il coinvolgimento di don Tommaso nell’inchiesta sul fratello Mario. Di certo per ora c’è che la Diocesi, guidata dall’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, dovrà porsi il problema di valutare la sua posizione, anche alla luce dell’incarico delicato che ricopre all’interno del Miulli (l’ospedale è del tutto estraneo all’inchiesta). Nello scorso settembre era stato proprio il vescovo a proporre a don Lerario di avere l’assegnazione di una parrocchia, nell’applicazione di un principio di rotazione degli incarichi sacerdotali e alla luce del lungo periodo di permanenza al Miulli, ma il prete aveva preferito restare all’interno della struttura sanitaria.

Gli interrogatori

Poche ammissioni e nessuna rivelazione: è stata questa, alla fine, la strada scelta daLuca Leccese e Donato Mottola, agli arresti domiciliari per corruzione dal 24 dicembre. Il primo – affiancato dagli avvocati Gianluca Ursitti e Nicola Zingrillo – ha ammesso di avere consegnato a Mario Lerario 10mila euro ma ha ribadito che si trattava di “un regalo di Natale, fatto all’insaputa del diretto interessato”.

Stesso tipo di difesa per Mottola, assistito dagli avvocati Maurizio Tolentino eGiovanni Bruno (il quale, sprovvisto di Super Green Pass, non ha potuto accedere alla caserma della guardia di finanza di Putignano). Per entrambi le difese si sono riservate di chiedere la revoca dei domiciliari: per Mottola – nello specifico – sono state portate all’attenzione della gip Anna Perrelli le dimissioni dalla carica di amministratore della società Dmeco Engineering.

Al momento nessuna istanza di scarcerazione è stata avanzata neppure da Lerario (difeso dall’avvocato Michele Laforgia), il quale si è sottoposto al primo interrogatorio di convalida davanti al gip e poi a un interrogatorio difensivo con il procuratore Rossi. Le sue dichiarazioni, così come quelle di Leccese e Mottola, non vengono valutate in modo particolarmente positivo da parte degli inquirenti, convinti che tutti e tre abbiano ammesso soltanto ciò che non potevano negare.

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