Buccaneer, ecco le prove del riscatto. l'Italia pagò ai pirati un milione in più.

Una cifra record. Dopo la liberazione dei marinai Frattini aveva negato passaggi di soldi. In cinque mesi la procura di Roma ha ricostruito come andarono davvero le cose. L’armatore era pronto a darne tre, gli 007 ne consegnarono quattro.

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Il rimorchiatore Buccaneer

di Carlo Bonini (www.repubblica.it/…)

I giorni neri del "Buccaneer" non hanno più segreti. E la verità – ora documentata da cinque mesi di indagini della Procura di Roma – ha il colore e gli zeri di una montagna di soldi che smentisce l’enfasi e illumina le omissioni con cui il governo salutò pubblicamente la conclusione di quei 119 giorni di sequestro («Non è stato pagato un soldo. La forza della politica, l’impegno del primo ministro somalo e un eccezionale lavoro di intelligence hanno semplicemente convinto i sequestratori che non esisteva alternativa che liberare nave e ostaggi», disse il ministro degli Esteri Franco Frattini).

La mattina del 9 agosto 2009, per riacquistare la vita e la libertà dei sedici marinai del rimorchiatore di altura abbordato l’11 aprile nel Golfo di Aden, l’intelligence militare del nostro Paese pagò ai pirati somali quattro milioni di dollari in contanti, come per altro gli stessi pirati, «smentiti», avevano voluto far sapere a sequestro concluso. Un milione in più, si scopre ora, dei tre pattuiti nella trattativa "privata" condotta parallelamente dalla "Micoperi" di Ravenna, la società armatrice del "Buccaneer". Come ha potuto ricostruire l’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti e dai carabinieri del Ros e come documentano le conversazioni telefoniche intercettate dalla Procura sull’utenza satellitare utilizzata a bordo del "Buccaneer" da banditi, mediatori ed equipaggio durante i quattro mesi del sequestro, il riscatto viene consegnato la mattina del 9 agosto, poche ore prima del rilascio dell’equipaggio.

Nello specchio di mare che bagna le coste della provincia indipendente somala del Putland. Poche miglia al largo del punto in cui il "Buccaneer" è rimasto alla fonda prigioniero dei pirati. Al centro del cono di sorveglianza della "San Giorgio", la nave da sbarco della nostra marina militare, in quelle settimane sentinella della trattativa a una distanza dal rimorchiatore non superiore alle sei miglia. Ai pirati non deve sembrare vero. Nelle borse consegnate dall’ufficiale pagatore del nostro Paese, sono stipati contanti per quattro milioni di dollari. Il più alto riscatto mai pagato per un naviglio in quattro anni di abbordaggi nel golfo di Aden. Superiore persino ai 3 milioni di dollari con cui i Sauditi, nel gennaio del 2009, hanno chiuso la partita per la riconsegna della "Sirius star", la petroliera catturata con 25 uomini di equipaggio e un carico di due milioni di barili di greggio (pari a un valore di 100 milioni di dollari).

Delle "borse" e del loro tesoro, nelle carte dell’inchiesta si trovano riscontri inequivocabili. Interrogato dalla Procura dopo la liberazione, le ricorda a verbale Mario Albano, primo ufficiale del "Buccaneer". La mattina del 9 agosto – racconta – alcuni pirati lasciano il rimorchiatore su una piccola imbarcazione. E, al loro ritorno a bordo, nelle loro mani, con le armi, ci sono «borse che non avevano al momento di lasciare la nave». La prigionia, del resto, finisce in quell’istante. Gli incursori di marina della "San Giorgio" arrivano sul rimorchiatore dopo aver lasciato il tempo ai pirati di raggiungere la costa. E di regolare a raffiche di kalashnikov (otto pirati saranno trovati morti alcuni giorni dopo) la divisione di un bottino che alla conta finale è più ricco di quanto avessero immaginato. È la seconda "scoperta" dell’inchiesta.

Che si sia pagato "quattro" quello che si era concordato di chiudere a "tre", lo racconta ad uno dei dirigenti della "Micoperi" il mediatore somalo che la società armatrice di Ravenna ha deciso al momento del sequestro di spedire nel Golfo di Aden per aprire un canale di trattativa "privato" con i pirati. L’uomo – che come gli altri protagonisti di questa storia parla su un telefono che non sa essere intercettato dalla Procura – commenta a sequestro concluso il prezzo della liberazione. «Noi – dice – avevamo chiuso per tre. Ma a questo punto mi viene il dubbio che loro abbiano pagato quattro». Il rimorchiatore Buccaneer Nell’agosto del 2009, i quattro milioni di riscatto del "Buccaneer" sono l’esito coerente di una politica del portafogli per il rilascio degli ostaggi mai pubblicamente ammessa e tanto meno discussa in Parlamento, ma sistematicamente autorizzata da Palazzo Chigi da quando sono cominciati i sequestri di italiani all’estero. E di cui la Procura di Roma ha avuto nel tempo riscontri documentali (in Iraq come in Afghanistan), senza per questo ritenere, come pure in questo caso, che vi fossero «ostacoli di legge» che la impedissero.

Ma in quell’estate del 2009, i quattro milioni del "Buccaneer" mettono a nudo anche la doppiezza della diplomazia di un Paese, il nostro (e dell’intera Unione Europea), che mentre si impegna nell’operazione internazionale di pattugliamento del Corno d’Africa per disinfestarne le acque dalla pirateria, proprio ai pirati ora consegna il riscatto del "Buccaneer", ora restituisce la libertà. Accade il 17 giugno del 2009, mentre il sequestro del rimorchiatore è in corso. Nove somali, catturati il 22 maggio dalla fregata "Maestrale" nel golfo di Aden durante il tentativo di abbordaggio del "Maria K.", mercantile con bandiera delle isole Grenadine, dopo quasi un mese di detenzione e interrogatori del Ros a bordo della nave della nostra marina militare, vengono liberati e consegnati al Kenya, come ha stabilito la risoluzione europea di Pesc.
Lo strumento è un decreto legge approvato il 12 giugno che modifica la giurisdizione italiana sui reati di pirateria, rendendoli perseguibili «solo se commessi in danno dello Stato, di beni o cittadini italiani». Come il "Buccaneer", appunto. Per il quale innanzitutto pagheremo e poi indagheremo.

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