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«Volevo il fiore (segno di affiliazione ad un clan mafioso, ndr) e lo chiesi durante l’ora d’aria ad Antonio Capriati. Ero già suo, mancava solo il battesimo che avrei ricevuto dopo 2-3 mesi di prova».
Così Marcello Loiacono, collaboratore di giustizia del clan Capriati, racconta in videoconferenza la sua affiliazione al gruppo malavitoso di Bari Vecchia. Era il 2000. Loiacono era detenuto nel carcere di Bari. In quel periodo era in cella, nello stesso penitenziario, Capriati. Loiacono chiese al suo compagno di cella come potersi affiliare al clan. « Mi disse di farmi un giro e parlare con il boss. Volevo il fiore, l’affiliazione, e lui (Antonio Capriati, ndr) mi disse ‘poi vediamò. Doveva informarsi su di me, sapere se ero una spia o se poteva fidarsi, capire cosa ero disposto a fare per la famiglia (il clan, ndr). Nei mesi successivi, prima del vero e proprio rito, mi affidò la gestione dello spaccio di droga a Modugno. Avrei anche ucciso per far parte del clan Capriati». Loiacono risponde alle domande del pm di Bari Eugenia Pontassuglia, ricostruendo i rapporti tra gli affiliati e il boss, «la famiglia» dice, nel processo in corso dinanzi al Tribunale di Bari nei confronti di due persone imputate per associazione mafiosa. « Una volta fuori dal carcere – continua il pentito – andai a Bari Vecchia a conoscere il resto della famiglia. Alcuni mesi dopo, di nuovo in carcere, fu celebrato il rito alla presenza del boss». La videoconferenza, per problemi tecnici, viene interrotta e il racconto del pentito rinviato al prossimo 27 novembre.