Valenzano, così il Comune stipendiava amici e mafiosi

fonte: http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it – di GIOVANNI LONGO e MASSIMILIANO SCAGLIARINI

Infiltrazioni negli appalti. Parentele. Rapporti gelatinosi tra la politica, l’amministrazione, i pregiudicati locali. Rimasti orfani dei lucrosi affari illeciti, i clan avevano trovato una nuova fonte di sostentamento. E il Comune di Valenzano, stando a quanto è emerso sino a questo momento dagli accertamenti della Prefettura di Bari, era diventato il loro ufficio di collocamento della mafia. Perché quello che emerge dalla relazione di accesso compilata dal Palazzo del Governo, quella che ha portato il Viminale a sciogliere il Consiglio mandando a casa il sindaco Antonio Lomoro, è che il Comune garantiva il welfare dei clan.
Più che dal pittoresco episodio della mongolfiera con dedica al mafioso ammazzato, per raccontare il contesto di Valenzano si può partire dal 28 settembre 2016. È il giorno in cui Lomoro denuncia di aver subìto un’aggressione in ufficio da parte di un pluripregiudicato che pretendeva l’assegnazione di un alloggio confiscato alla mafia. Le cronache di un anno fa hanno riportato la notizia dell’arresto di Matteo Radogna, ma non hanno illustrato fino in fondo a cosa mirasse la prepotenza di questo 34enne. L’uomo voleva infatti ottenere una casa su via Bari, confiscata ai clan, che era stata nella disponibilità di Vito Di Benedetto, alias «Vito U’Rizz», un affiliato degli Stramaglia ucciso dal piombo il 17 giugno 2009. Il messaggio era chiaro: quella è roba nostra.


È certamente una coincidenza che il Radogna fosse stato controllato dai Carabinieri in compagnia di Antonio Cannone, un maresciallo dei vigili urbani oggi in pensione che nel suo passato vanta una esperienza da consigliere comunale dell’Udc, oltre che una lunga serie di precedenti di polizia. E che l’ex agente di polizia municipale, controllato in tempi remoti anche in compagnia di Chelangelo Stramaglia, il boss del paese, sia anche il fratello di Luigi Cannone (il boss locale degli anni ‘80 vicino alla famiglia Di Cosola, poi ucciso anche lui in un bar di Capurso nell’ottobre del 2010) e di Pietro Cannone, anche lui vigile urbano, incensurato ma padre di Vincenzo Cannone, pregiudicato e ritenuto l’attuale reggente della famiglia su Valenzano. Ma non basta ancora. Antonio Cannone è il suocero di Annalisa Potente, consigliera comunale con Lomoro, moglie di Michele Cannone, pluripregiudicato oggi sottoposto ad obbligo di firma dopo l’arresto per droga nell’operazione «Pilastro». E qui le cose si fanno interessanti.


Il cognato di Antonio Cannone, Francesco De Vivo, è il custode del cimitero di Valenzano. Anche lui era stato eletto consigliere comunale nel 2013 nella maggioranza di Lomoro, e si è dimesso quando il sindaco ha nominato suo figlio Michele assessore ai Servizi sociali. Nel 2016 l’appalto per i servizi cimiteriali è stato assegnato dal Comune a Vincenza De Virgilis, moglie di Francesco De Vivo e cugina di primo grado di Cannone, con una procedura su cui sono accesi i riflettori della Procura di Bari. Il motivo è semplice, e sconcertante. L’offerta vincitrice è talmente bassa (8.100 euro al mese) da non coprire nemmeno i costi del personale. E come se non bastasse, a presentare l’offerta per conto della ditta vincitrice (tramite il portale Empulia) risulta essere stato Vito Rocco Bellomo, all’epoca direttore dell’ufficio finanziario del Comune, assunto a tempo determinato dal sindaco Lomoro (di cui è il consulente fiscale) nonché marito della consigliera di opposizione Natalina Varlaro, eletta in una lista civica di centrosinistra e poi folgorata dall’amore politico per il sindaco. Serve poi un altro particolare. Prima di Francesco De Vivo, il custode del cimitero era Pietro Cannone, il vigile urbano fratello del boss Luigi. Per una fortuita catena di coincidenze, quell’appalto ha fatto sì che il cimitero restasse cosa loro.

Ma non è una eccezione. Perché le altre famiglie mafiose locali, che dopo le valanghe di arresti e di condanne hanno rinunciato a impugnare la pistola, trovano sfogo negli appalti comunali. Tra i dipendenti della Camassambiente, la società che ha gestito il servizio rifiuti dal 2013 al 2016 (in proroga) fino all’interdittiva antimafia dello scorso anno, la Prefettura di Bari aveva scoperto la presenza di pregiudicati vicini al clan Parisi e Capriati: è il brodo di coltura degli Stramaglia, originariamente legati al boss del quartiere Japigia e poi al clan della città vecchia di Bari (la figlia di Chelangelo, Marina, nel 2016 ha ha sposato in carcere Francesco Capriati, figlio di Antonio). E poi sono spuntati anche gli amici dei politici: dopo la proroga del 2015, ottenuta secondo la Prefettura con un’offerta più alta rispetto a quella di un’altra concorrente, Camassambiente assume Nicolas Biallo, fedelissimo del consigliere comunale Vitantonio Devitofrancesco, Oronzo Cisternino segnalato dall’ingegnere Leonardo Luisi (coinvolto nell’operazione «Domino», candidato alle ultime Regionali con Forza Italia sostenuto da Lomoro, fratello del consigliere di maggioranza Giovanni Luisi), Gabriele Ferrara, nipote di Agostino Partipilo (padre del vicesindaco e consigliere di maggioranza), e Vincenzo Moncada, figlio di un amico di Lomoro.
Quando Camassambiente perde l’appalto per l’interdittiva antimafia, il servizio rifiuti viene affidato a Ercav, che altro non è che la «newco» nata dalle ceneri del fallimento della Lombardi Ecologia. La gara, se così si può chiamare, meriterebbe un articolo a parte (ed infatti è all’attenzione della Procura). Dei suoi 67 dipendenti, 40 provengono dalle file della Lombardi. Nell’elenco troviamo allora Gaetano Bellomo, cognato di Isabella Parisi, sorella del boss di Japigia, che lavora fianco a fianco con Tommaso Parisi, figlio di «Mames», nipote di Savinuccio. Ecco il pregiudicato Diego Calzolaio, figlio e fratello di due sodali del clan Parisi. Biagio Campanile, spacciatore vicino al clan Zonno così come il pregiudicato Domenico Cavalieri Foschini. Gaetano Cassano, figlio incensurato di «Gigino Coca Cola», mitologico cassiere dei Parisi. L’immondizia di Valenzano è rimasta cosa loro. E non è finita qui.
[1. continua]

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