Un robot sul peschereccio affondato: giù negli abissi col «Francesco Padre»

di Carlo Stragapede 
www.lagazzettadelmezzogiorno.it

ACQUE INTERNAZIONALI DELL'ADRIATICO MERIDIONALE –  L'elica del «Francesco Padre» compare nel monitor come un gigantesco quadrifoglio bianco. E bianco è il fondale, fangoso, liscio e anzi tendenzialmente piatto, orizzontale, sul quale il motopeschereccio della marineria molfettese è adagiato da quasi 17 anni. Duecentoquarantasette metri la profondità dell'Adriatico, qui, a circa 20 miglia dalla città montenegrina di Budva, oggi celebre per gli appassionati del gioco d'azzardo. Il «Francesco Padre» si comincia a rivedere, sullo schermo, da bordo del cacciamine «Viareggio» della Marina militare italiana. 

Dalla prima visita negli abissi blu notte dell'adriatico si nota, per ora, più che altro la poppa, con l'elica avvolta da una grossa rete, presumibilmente perduta da qualche altro peschereccio. Il robot «Pluto» spedito laggiù per conto della procura di Trani che indaga sul tragico naufragio che costò la vita a 5 marittimi di Molfetta, si sposta poi a due metri dal fondale e il filmato mostra residui sparsi del fasciame di legno. Le immagini vengono girate in diretta da questa specie di «siluro intelligente» lungo 3 metri, dotato di 8 eliche e di una telecamera, pilotato con un joystick dall'ufficiale addetto. 

Alle 13 il «Pluto» viene ritirato su con il verricello. Il numerino all'angolo in basso a destra della schermata «racconta»: 246, 245, 244 metri, eccetera, fino a quando l'investigatore d'acciaio ricompare in superficie, madido di acqua come un capocantiere che pregusta la pausa. Motivo? La lampadina del potente faro indagatore si è fulminata e il fondale appariva ormai come una gigantesca macchia nera. 

Il Procuratore di Trani Carlo Maria Capristo e il sostituto Giuseppe Maralfa che seguono a bordo le operazioni, parlano con il comandante del «Viareggio», Elia Cuoco, e con i consulenti, per concordare l'agenda degli adempimenti del primo giorno di ricerche e di quelli successivi. Il piano di lavoro attuale prevede 4-5 giorni di immersioni. Il «Pluto» si reimmerge solo in serata, il tempo necessario a far ricaricare la megabatteria che lo alimenta: «Per noi – spiega il medico legale Francesco Introna, consulente dei Pubblici ministeri – lavorare di giorno o di notte è la stessa cosa. Tanto giù, a 247 metri di profondità, è sempre buio pesto». 

Quindici anni dopo il primo e unico monitoraggio del «Francesco Padre» (erano i primi di giugno del 1996), la tecnologia più avanzata può rendere un prezioso servizio agli inquirenti e in definitiva alla verità: «Il Pluto – spiega un sottufficiale del “Viareggio” – oltre a offrire immagini di alta qualità, ha il vantaggio di potersi avvicinare di parecchio al relitto». Ma il professor Introna avverte: «Dobbiamo evitare il rischio che possa impigliarsi nella rete che avvolge la poppa del relitto. Sarebbe un danno incalcolabile». Certo, in questo caso non si tratta del celebre cane di Topolino disegnato da Walt Disney dal quale prende il nome, ma di un mezzo altamente tecnologico che costa due milioni di euro (è prodotto da un'azienda di Como). 

Introna, poi, esprime qualche perplessità sulla possibilità concreta che possano recuperarsi i corpi dei quattro marittimi molfettesi rimasti giù (uno solo fu recuperato) in condizioni accettabili, non solo per i familiari ma anche per raccogliere qualche elemento utile alle indagini: «Dobbiamo sperare che l'azione della corrente e la natura fangosa del fondale non abbiano deteriorato o inghiottito definitivamente i resti mortali» spiega. 

Primo giorno di lavoro baciato dal sole, nelle acque internazionali prossime al Montenegro. 

Domani, venerdì, è data in arrivo una perturbazione con vento a 40 nodi, pari a quasi 70 chilometri orari. Ma non è il momento di lasciarsi andare a facili pessimismi, dopo 17 anni di attesa non sarà una burrasca a fermare la caccia alla verità. 

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