Stipendiato dal clan, poi pentito; i segreti della Gomorra barese

Da pochi giorni collabora il braccio destro di Francesco Caldarola. Depone da una località protetta: le sue rivelazioni fanno tremare

fonte: bari.repubblica.it di Chiara Spagnolo

C’è un nuovo pentito nel clan Strisciuglio di Bari, pronto a svelare alla magistratura gli attuali organigrammi della criminalità organizzata del capoluogo. Si chiama A.M., ha 32 anni e per lungo tempo è stato il braccio destro del 26enne Francesco Caldarola, aspirante boss del quartiere Libertà, che del padre Lorenzo ha ereditato caratura e guai, finendo anch’egli in carcere per l’omicidio dell’albanese Florian Mesuti.

A.M. — che dai Caldarola (e indirettamente dagli Strisciuglio) riceveva ordini e stipendio settimanale, un mese fa ha deciso di pentirsi e ha riempito pagine di verbali davanti al procuratore aggiunto della Dda Pasquale Drago. È stato lui a citarlo come testimone nel processo per il tentato omicidio di Giuseppe Mercante — il 22 agosto 2012 in via Nicolai — di cui sono accusati i fratelli Arcangelo e Donato Telegrafo dell’omonimo gruppo del quartiere San Paolo e Antonio Rizzo. Il neo collaboratore ha parlato in videoconferenza dalla località protetta in cui è stato trasferito dopo aver deciso di rivelare i segreti della mafia barese. Ma anche in lunghi interrogatori a tu per tu con il procuratore Drago. Dalla sua bocca stanno uscendo rivelazioni importanti, che, non a caso, hanno portato Drago a opporsi all’eventualità di citare, nel processo ai Telegrafo, le persone di cui ha parlato A.M.

«Potrebbero diventare imputati in altri processi» , ha detto, lasciando intendere che il lavoro delle forze dell’ordine sulla ricostruita mappa criminale della città è frenetico.

«Ho fatto parte del clan Strisciuglio — ha raccontato il pentito — che comandava il quartiere Libertà e decideva come organizzare lo spaccio e le estorsioni. Nell’estate 2012 avrei dovuto affiliarmi, ero un “promesso” di Francesco Caldarola, che a sua volta aspettava che il padre Lorenzo gli indicasse chi avrebbe dovuto essere il suo padrino» . Nessun dubbio nelle sue parole, nessun tentennamento nel ricostruire il clima in cui, nell’estate 2012, maturò il proposito omicidiario verso Mercante, detto “Pinucc ù drogat”: «I Telegrafo erano affiliati a Giuseppe Misceo e volevano prendersi lo spaccio al Libertà. Arcangelo voleva anche vendicare vecchi rancori del padre, per questo sparò a Mercante e la sera, al San Paolo, fecero i fuochi d’artificio» . Come in un rito tribale di festeggiamento. In una città che a sentirla raccontare nell’aula del Tribunale sembra a tratti il Far West. In cui si agisce in base a logiche alla Gomorra e ci si allea e si sposa come in un vero romanzo criminale. «Tra i Caldarola e i Mercante si era instaurata la pace — ha proseguito A.M. — perché Francesco Caldarola aveva sposato la figlia del boss Pinuccio. Dopo che cercarono di ucciderlo, il nipote Donato Siffanno cominciò a girare per il quartiere San Paolo con la sua macchina blindata e alla fine fu ucciso lui» . Era il 15 febbraio 2014. La faida tra i Misceo-Telegrafo e i Mercante raggiunse l’apice grazie a quei venti colpi di kalashnikov e poi gli equilibri si ridisegnarono.

Come il pentito ha parzialmente rivelato in aula e più dettagliatamente sta raccontando per sugellare il suo impegno con la giustizia. «Dopo quei fatti di sangue molti sodali di Mercante andarono con i Capriati — ha specificato — che hanno in mano Bari Vecchia.

L’attuale capogruppo è Filippo Capriati» . Attuale, come le attività criminali in pieno svolgimento nel centro storico e negli altri quartieri. Dal San Paolo, «dove le vedette stanno agli angoli delle strade e persino sulle terrazze» , al Libertà, dove il 9 febbraio l’inviata del Tg1 Maria Grazia Mazzola è stata aggredita dalla moglie del boss Lorenzo Caldarola, durante un tentativo di intervista.

Attuale come i riti di affiliazione, di cui ha raccontato in videoconferenza un altro pentito, Ibrhaimi Abdelsalem, «affiliato con grado di quinto al clan Diomede e referente per lo spaccio nel quartiere Carrassi» .

È stato lui a svelare il modo in cui i clan fanno arrivare le informazioni ai sodali in carcere: «Esistono corrieri informativi — ha detto — . Quando ero detenuto a Lecce il mio corriere di riferimento era Paolo Abbrescia, incaricato da Nicola Diomede, perché la regola vuole che un referente di leva come ero io, anche se è detenuto, deve essere a conoscenza dei fatti che accadono . Le notizie erano scritte su pizzinni, che la madre di Abbrescia portava ai colloqui e lui li metteva in bocca e poi me li consegnava. Io poi dovevo fare il “ritorno di favela”, ovvero rispondere tramite altri pizzinni che lui spediva alla madre con la posta prioritaria» . In quei foglietti, nel 2013, si parlava dei contrasti in corso tra i clan Telegrafo, Strisciuglio, Anemolo e Diomede, mentre oggi, secondo il collaboratore «è stata decisa una pax mafiosa» . Una situazione in cui, a suo dire, di certo c’è «che Misceo e Strisciuglio ora sono alleati» e che Arcangelo Telegrafo, nonostante i suoi 26 anni, «è quotato come una persona cattiva e temuta nell’ambiente malavitoso» . Pure ora che si trova in carcere, da dove, forse, non ha smesso di comandare.

 

 

 

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