Non c’è divieto che tenga per il popolo del Gavetone


Foto: © MolfettaLive.it

di Lorenzo Pisani  
(
www.molfettalive.it)
Per chi si sente più gavetonese che molfettese (la definizione è di uno di loro) non è cambiato nulla. 
Nessuna ordinanza o divieto potrà mai allontanarlo dalla spiaggia che frequenta da decenni. E igavetonesi a Molfetta sono tanti. Un club di cui tutti i bagnanti sono o sono stati tesserati almeno una volta. 
Una settimana fa l’esposizione a Torre Gavetone dei cartelli di divieto di balneazione. Una mano ignota pochi giorni dopo li ha colorati parzialmente di rosso, lasciando in evidenza solo la ragione della misura. 

«Quelle bombe ci sono da sessant’anni e non hanno mai dato fastidio a nessuno», racconta uno dei bagnanti. «Sono cresciuto qui e sfido chiunque a farmi una multa», gli fa eco un trentenne. Le sanzioni vanno dai circa 1.000 ai 3.000 euro, ma finora qui non si sono viste. Invece di molfettesi in acqua, eccome. 

Eppure qualcuno non si fida. E si limita alla tintarella. C’è chi invece è “emigrato” alla Prima Cala o sulla spiaggia nei pressi dello stadio “Petrone” o sul Lungomare. La Terza Cala scoraggerebbe anche il più ardimentoso degli esploratori. Cala Sant’Andrea, nei pressi del duomo, stando all’ordinanza di giugno non rienterebbe nei luoghi interdetti, ma provare per credere. Il resto sono stabilimenti balneari. Qualcuno azzarda ipotesi complottarde proprio a loro vantaggio. Ma i più si fanno il bagno e basta, «e lo fanno anche per i miei bambini piccoli». 

E pensare che per anni sul vialetto ha fatto bella mostra di sè un’altra insegna, che vietava i bagni sempre per la presenza di residuati bellici. Ma nessuno ci ha fatto caso. Del resto nessuna ordinanza comunale proibiva la balneazione. Anzi, la Provincia ha investito decine di migliaia di euro per vialetti, essenze arboree, panchine e persino un orologio solare. 

I molfettesi, gavetonesi pardon, il bagno qui continueranno a farselo. Non importa se i fondali sono pieni di ordigni bellici, anche sepolti. Non importa se ormai da due anni si è tornato a parlare con insistenza del problema. E la prima conferenza, organizzata dal Liberatorio politico il 31 luglio 2009, fu preceduta da un proiettile indirizzato al suo coordinatore, Matteo d’Ingeo. Da allora il nome della spiaggia è rimbalzato su inchieste, testate giornalistiche (anche giapponesi) e speciali tv. Interrogazioni parlamentari e un comitato nazionale hanno lanciato più di un allarme. E tanto di coordinate geografiche individuano punti a rischio. 

«Piuttosto che proibire, qualcuno dovrebbe risolvere il problema». È la sintesi di un altro habituè del Gavetone, uno che alla sua amata spiaggia non vuole proprio rinunciare.

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