di CHIARA SPAGNOLO – bari.repubblica.it
Per una notte intera fu lasciata ferita accanto alla madre Paola Rizzello, uccisa dai sicari della Scu, poi la mano dei killer calò anche su Angelica Pirtoli di appena due anni. Biagio Toma la afferrò per un piede e le fracassò il cranio e, proprio per tanta brutalità, il boss Luigi Giannelli lo premiò decretandone l’affiliazione al clan. Era il 20 marzo 1991. I resti di Paola furono trovati il 19 febbraio 1997, quelli della figlioletta il 4 maggio del ’99. A distanza di quasi 24 anni la giustizia chiude il cerchio sull’efferato delitto di Parabita, attribuendo un nome e un cognome all’uomo che materialmente massacrò la bambina.
Si tratta di Biagio Toma, 47enne di Parabita ritenuto affiliato al clan Giannelli della Sacra Corona Unita, già in carcere a Trani per precedenti condanne e al quale l’ordinanza firmata dal gip Simona Panzera su richiesta del sostituto procuratore Giuseppe Capoccia, che lo accusa di concorso in duplice omicidio agravato, toglie per sempre la possibilità di rivedere la luce. Ad inchiodarlo alle responsabilità in uno degli omicidi più atroci che il Salento ricordi, le indagini dei carabinieri del Ros guidati dal colonnello Paolo Vincenzoni, i quali nel corso di un’inchiesta antimafia hanno ascoltato alcuni uomini vicini al clan Giannelli, che nel 1999 ricevettero da Toma l’incarico di spostare i resti di Angelica dal luogo in cui erano stati nascosti. Tali testimonianze hanno fatto il paio con quelle già rilasciate nel processo alle prime persone individuate come responsabili da Luigi De Matteis, altro affiliato allo stesso clan, che spiegò davanti ai giudici movente e dinamiche dell’omicidio.
La ventottenne Paola Rizzello sarebbe stata uccisa per volontà del capoclan Luigi Giannelli e della moglie Anna De Matteis, detta “Anna morte”, nonché dell’ex convivente Donato Mercuri, già condannati all’ergastolo in qualità di mandanti e organizzatore del delitto. La condanna a morte fu decretata per difendere i segreti del clan da una donna che sapeva troppo e anche per vendetta da parte della moglie del boss, di cui la Rizzello era stata amante. Il piano per la sua eliminazione non risparmiò Angelica, che si trovava con la mamma in quel maledetto giorno di primavera, quando Luigi De Matteis e Biagio Toma la attirarono in un casolare di campagna e la assassinarono a colpi di fucile. Lì Angelica fu ferita a un piede e abbandonata per tutta la notte. Sola e terrorizzata, piangeva accanto al cadavere della mamma (tanto che un uomo disse di aver sentito una cagnolina ululare), finché Mercuri non ordinò ai sicari: “La bambina non si può lasciare, se la trovano in quelle condizioni si capisce che alla madre è successo qualcosa di brutto”. Un ordine perentorio, che Biagio Toma avrebbe eseguito senza fiatare, “senza nemmeno la pietà che si usa con gli ovini” scrive il gip Panzera nella sua ordinanza. Rispetto a quel gesto disumano negli ultimi mesi “sono state trovate inaspettate conferme – prosegue il gip – che consentono finalmente di avanzare una richiesta cautelare che attenui l’orrore dell’intera comunità salentina”.