Lo Stato risarcirà l’imprenditore Casillo per l’arresto-truffa di Trani

21 giorni trascorsi ingiustamente tra carcere e domiciliari: «I miei familiari pagarono affinché uscissi» – fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Undici giorni trascorsi in carcere, altri dieci passati ai domiciliari. Tutto per una accusa che, oggi lo sappiamo, fu «inventata» dalla cricca dei giudici di Trani, l’ex pm Antonio Savasta e l’ex gip Michele Nardi. Francesco Casillo, il re del grano, all’epoca aveva quarant’anni. Oggi che l’imprenditore ne ha 55, la Cassazione ha deciso che dovrà essere risarcito per quell’arresto illegittimo.

Francesco Casillo fu arrestato il 10 gennaio 2006 nell’ambito dell’inchiesta condotta da Savasta sul grano contaminato all’ocratossina, su ordinanza cautelare emessa dal gip tranese Nardi. Sei anni dopo è stato assolto da ogni accusa: le analisi stabilirono che il grano era buono. Casillo (avvocato Andrea Di Comite) ha dovuto attendere il 2016 per chiedere allo Stato il risarcimento che spetta a chi è stato ingiustamente arrestato, e tre anni ancora per raccontare ai pm di Lecce che quell’indagine di Trani fu, in realtà, un clamoroso tentativo di estorsione da parte dei due magistrati.

«Mentre ero in carcere, immediatamente dopo il mio arresto – è il racconto fatto da Francesco Casillo ai carabinieri -, Enzo Perrone (un amico di famiglia, ndr) venne avvicinato da Antonio Longo, capo di una cooperativa di vigilanza privata e che per quanto mi è dato a sapere era molto amico di Savasta e Nardi. Costui anticipò al Perrone che il giorno seguente sarebbero stati arrestati tutti gli altri miei fratelli e gli suggerì di rivolgersi immediatamente agli avvocati Miranda Vincenzo di Trani e Domenico Tandoi di Corato i quali avevano rapporti con i due predetti magistrati».

E così andò: «Mi ha riferito Perrone che lui si recò subito da Miranda, a distanza di qualche ora dalle misure restrittive, e chiese come doveva comportarsi. Miranda gli rispose che lui costava un milione di euro e Enzo non intuì subito a cosa si riferisse. Alle sue legittime richieste di chiarimenti, Miranda affermò che erano necessari 250mila euro a fratello aggiungendo che il suo potere contrattuale gli avrebbe consentito di dare a breve un segnale, ovvero la liberazione di mia sorella che poi in effetti è avvenuta. Enzo, alle richieste del Miranda, contattò subito mio padre con il quale reperì la cifra di 400mila euro che consegnò in diverse tranche ed in diversi momenti al Miranda. Queste ultime circostanze naturalmente le ho apprese direttamente da Enzo Perrone che, con non poche difficoltà, me le ha raccontate».

La vicenda giudiziaria dei Casillo, ormai prescritta, è stata utilizzata nelle indagini di Lecce per ricostruire il «clima» del Tribunale di Trani: un posto dove, ha detto senza mezzi termini l’allora pm Fabio Buquicchio alla Procura di Potenza, «il dottor Savasta in vista di sequestri anche del tutto infondati da effettuare, ovvero a seguito di sequestri effettuati, sguinzagliava alcuni suoi avvocati “di fiducia” che stavano al suo gioco, i quali, a loro volta, avvicinavano i destinatari di tali sequestri e facevano intendere che pagando una parcella cospicua avrebbero risolto i loro problemi».

La richiesta di indennizzo di Casillo è stata bocciata una prima volta dalla Corte d’appello di Bari nel 2018, decisione cancellata dalla Cassazione. Dopo il rinvio, i giudici baresi hanno nuovamente detto «no» rilevando che l’istanza sarebbe stata proposta fuori termine. Ma pochi giorni fa la Cassazione ha annullato nuovamente il «no», stabilendo che la Corte d’appello dovrà pronunciarsi di nuovo, unicamente sulla quantificazione del danno.

Nel frattempo, appunto, sono arrivate le sentenze di Lecce su Nardi (condannato a 16 anni e 9 mesi) e Savasta (10 anni). L’appello contro la condanna in abbreviato, fissato a lunedì 12, sarà rinviato a settembre proprio su richiesta della difesa dell’ex pm, che con l’avvocato Massimo Manfreda sta cercando la strada per ritrovare la libertà. Savasta è in custodia cautelare dal gennaio 2019, prima in carcere e adesso ai domiciliari. L’unica possibilità di uscire (e di non tornare in carcere) è che la condanna definitiva scenda sotto i 7 anni.

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