Le sue labbra per amare un’ultima volta e per uccidersi. Dicono che se ne sia andato “esattamente come voleva”, il dj Fabo (Fabiano Antoniani, 40 anni), e comunque non l’ha fatto a bassa voce. Protesta, perché “sono arrivato in Svizzera con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato”.

Ringrazia il radicale Marco Cappato, che l’ha strappato “a un inferno di dolore, di dolore, di dolore”. E chiunque abbia ascoltato in Internet questo suo ultimo file audio può comprendere quanta fatica fisica gli costasse ogni sillaba.

Era completamente paralizzato e cieco da tre anni, per un incidente d’auto nell’estate del 2014: “Sono un cervello attaccato a un corpo che non ubbidisce e che non vede più nulla intorno a lui”, diceva. E quando qualcuno gli suggeriva che, udendo e pensando, avrebbe potuto combinare ancora qualcosa con la musica, la sua passione, non ci stava: “La musica era felicità, era bellissimo tornare a casa alle 7 del mattino, parlare con le persone, ora non riuscirei a far nulla. A volte quando sento la musica mi viene addosso una grande, insopportabile tristezza, era la vita e questa non è la vita”, era diventata un naufragio e dj Fabo s’è inabissato.

Eppure, per essere fedele al se stesso di un tempo e al combattente quotidiano che era diventato, è arrivato a Pfaffikon sabato pomeriggio, dopo cinque ore di viaggio da Milano: e con lui, nella clinica Dignitas, ha fatto irruzione il “Giambellino”. Frantumando le abitudini svizzere, gli amici del quartiere popolare di Milano hanno potuto dormire accanto a lui, su un divano letto e su un letto alla francese, e anche un’infermiera, che pure ne ha viste di tragedie, ieri non nascondeva le lacrime sulle guance. “Hanno fatto casino”, morte o non morte imminente, e ognuno ha ricordato le sue storie, con Fabo che ha scherzato con tutti, con la sua voce spossata. Finché è arrivata l’ora.
Ha sfiorato con le labbra i tanti affetti e le variegate amicizie di una vita, incarnati dal gruppo dei cinque o sei ex compagni di scuola e di nerovestiti amici di strada. Si sono attardate quelle labbra con la madre addolorata, che non ce l’ha fatta a dirsi davvero d’accordo, ma che altro poteva fare? Sono state quelle stesse labbra a baciare come non sarà mai più possibile, e dunque per sempre, l’amore grande della sua vita. Valeria, che all’una aveva scritto su Facebook: “Vorrei che questa notte non finisse mai”. E poco dopo sono state sempre quelle labbra a mordere il pulsante che ha dato il via all’immissione del farmaco.

Chissà se ce la faccio, e se non ci riesco? Visto che lo yogurt svizzero è più buono, me ne porto un po’ a Milano, che dici?“, scherzava, in un’estrema medicamentosa autoironia. La forza che ha messo in quella piccola porzione di corpo è stata sufficiente a far scattare un meccanismo: nei tubi delle flebo, senza aiuti esterni, come prescrive la legge svizzera sul suicidio assistito, dj Fabo si inietta un veleno farmacologico che, stando alla medicina, lo uccide senza sofferenza. Due assistenti osservano nel silenzio della stanza senza musica quegli occhi che si chiudono presto per l’effetto del narcotico. Venti minuti dopo, alle 11.40 di ieri, nella zona industriale di questa cittadina non lontana da Zurigo, tra aziende meccaniche e carrozzerie, campi di calcio e tiri al bersaglio, smette di respirare l’italiano Fabiano Antoniani, 40 anni.

Quattro ore dopo la morte, alle 15.40, un poliziotto alto e magro e alcuni funzionari escono dal cubo azzurrino. Hanno verificato che quella di farla finita fosse la volontà del viaggiatore senza speranza. Nella clinica che è stata costretta varie volte a cambiare indirizzo, sono state videoregistrate sia le decisioni di dj Fabo, sia quello che è avvenuto all’interno della stanza. Quando madre, fidanzata, compagni si abbracciano in strada, dalle loro facce e dalle loro mani si capisce che per due giorni quest’uomo ha ottenuto dal suo mondo tutto quello che poteva avere.

E se parenti e amici non vogliono condividere nulla con i giornalisti, preferiscono lasciar parlare i suoi video e l’appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, c’è una signora veneziana che, a sorpresa, ci viene a cercare. Nemmeno lei, come Fabo, ha intenzione di abbassare la voce: “Tra ventiquattr’ore mio marito farà la stessa cosa del dj. Ha 65 anni, dopo aver avuto per tutta la vita la classica salute di ferro, due anni fa purtroppo ha scoperto di avere un tumore inguaribile. Per vedere almeno un po’ di tv prende la morfina tre volte al giorno. Aiutatemi a dire che stiamo subendo la mancanza di una legge per le famiglie come la nostra. In questa clinica arrivano cinquanta italiani all’anno, ma solo quelli che possono permetterselo. Il ricovero costa circa 11mila euro, 960 euro il noleggio dell’autoambulanza, 260 l’albergo, alla fine saranno 13mila euro circa”.

In questi giorni, probabilmente già in Svizzera, il corpo di Fabiano verrà cremato e le sue ceneri, a quanto pare, dovrebbero volare in India. Nel solco che contrappone chi parla di vita e di morte, di dignità e disperazione, si sente la mancanza di altre parole, come misericordia, perdono, pietà per un naufrago come il dj Fabo che ha pregato gli amici: “Uè, ragazzi, sono serio, fatemi un piacere, in macchina mettete sempre la cintura. Se me lo garantite, andrò via più contento“.