Intervista a Nicola de Ruvo, autore del libro “Sangue Infame – Come nasce una mafia”

Nella primavera del 2017 in questo blog abbiamo presentato un libro, scritto da Nicola de Ruvo, dal titolo “Sangue infame” (Le prime 65 pagine di “Sangue infame” le trovi QUI) e a luglio dello stesso anno lo abbiamo presentato in una conferenza pubblica. Già il titolo era forte e dirompente, ma il sottotitolo lo era ancora di più, ”Come nasce una mafia”.

“Sangue Infame” è una narrazione dei nostri tempi e non sembra una storia di fantasia. Le vicende dei protagonisti sembrano essere ambientate nel mezzogiorno d’Italia, in una qualsiasi città pugliese, molto simile a Molfetta; gli odori, gli orizzonti e i colori sono gli stessi e chissà, forse, anche quel sistema mafioso strisciante non scritto, non detto, che ci avvolge quotidianamente come una coperta protettiva che ci rende sempre più indifferenti all’illegalità diffusa che ci sta travolgendo. 

Abbiamo imparato in questi anni che la mafia è nei gesti quotidiani, nell’operato di un giudice che su intercessione del notabile di turno archivia un procedimento a carico di quest’ultimo invece di rinviarlo a giudizio; la mafia è nel comportamento di un dirigente comunale che ti nega l’accesso agli atti di un permesso a costruire, perché nasconde un illecito commesso dallo stesso a favore di un terzo favorito; atteggiamento mafioso è quello di un pubblico ufficiale che, a richiesta del galantuomo di turno, non sanziona reiterate violazioni ai regolamenti comunali commesse da quest’ultimo. La mafia si esprime in diversi modi, ma non per questo cessa di essere tale e spesso tende a diventare una coperta che copre anche chi non la vuole.

Abbiamo deciso, dopo 4 anni, di riparlarne perché riteniamo che sia ancora attuale e abbiamo posto alcune domande direttamente all’autore, Nicola de Ruvo.

Il tuo libro sembra essere stato profetico rispetto all’indagine nefasta che ha coinvolto la Procura di Trani e altre Procure pugliesi, quali sono le tue considerazioni in merito?

In verità non credo proprio di essere un profeta. Credo che diverse persone che abbiano avuto modo di confrontarsi con la Procura di Trani in quegli anni abbiano maturato molti interrogativi. Da un lato c’è da chiedersi se tali interrogativi siano terminati o siano ancora attuali, dall’altro se un cittadino possa sentirsi abbastanza tutelato dalla legge per trovare il coraggio di denunciare. Mi spiego meglio: mi chiedo se oggi il coraggio del cittadino, che con civismo espone fatti di propria conoscenza (esponendosi a possibili ritorsioni), sia abbastanza tutelato. Mi chiedo se chi lamenta un torto subìto abbia, ovviamente nel rispetto delle leggi, facilità di accesso alle indagini in modo da poter dare il proprio contributo o se, dopo la presentazione dell’esposto, il cittadino venga quasi “emarginato” dalle indagini in modo da non poter più offrire nessun tipo di contributo.

I protagonisti togati del tuo romanzo ritieni che possano rappresentare la realtà processuale dell’indagine “Giustizia svenduta”?

Il libro è evidentemente frutto di fantasia. Ciò non significa che non abbia tratto ispirazione da storie vere, poi liberamente narrate. Anzi il libro nasce, evidentemente, da una situazione che sul territorio era diventata, a mio modesto avviso, insostenibile. Nel mio libro si narrava di un intreccio abominevole tra magistratura inquirente e giudicante al soldo di chi poteva comprarsi i trattamenti processuali convenienti. Credo che sia l’impianto accusatorio dell’inchiesta “Giustizia svenduta”.

Invece quel sottobosco di comportamenti “mafiosi”, che sono narrati in “Sangue infame”, li ritroviamo anche nella nostra quotidianità? E sotto quale forma?

Il rispetto delle regole, anche e soprattutto per chi dovrebbe dare l’esempio, e farle osservare, è ancora lontano. Ovviamente con grande disagio per chi le regole le rispetta e grande vantaggio per chi ritiene che le regole le debbano osservare solo i deboli. Poter pilotare una sentenza, un’indagine o anche un semplice atto amministrativo conferisce ancora oggi un’aureola di superiorità e di potere reale ai trasgressori. Trasgressori che talvolta sono ammirati o quantomeno rispettati, invece che detestati perché si percepisce il loro “potere” da cui deriva l’impotenza di chi gli si mette contro.

Se si denuncia una persona che è in grado di comprarsi una sentenza, o un’indagine, cosa succede dopo al cittadino? Passa per un calunniatore o quanto meno un bugiardo e rimane esposto alla ritorsione. Se c’è una cosa che penso fortemente è che il corruttore così come il mafioso diviene più pericoloso dopo che ha trovato “le chiavi” per neutralizzare l’azione delle istituzioni. Da quel momento in poi si crede libero di reagire contro il proprio accusatore, atteso che il modo per sottomettere le istituzioni al proprio volere lo ha trovato. È anche per questo che occorre sempre più coraggio a denunciare il malaffare. Si rischia molto, è estremamente difficile (se non impossibile) seguire le indagini ed alla fine può accadere di rimanere soli, esposti e essere considerati inattendibili e delegittimati, se non peggio.

Dalla pubblicazione e presentazione del tuo libro cosa è accaduto sotto l’aspetto giudiziario, per le tue denunce?

È accaduto che almeno tre fra i principali attori delle indagini che avrebbero dovuto verificare le mie denunce (ovviamente archiviate) siano stati coinvolti nello scandalo della “Giustizia svenduta” che è arrivata già a sentenza di primo grado e comunque oramai accoglie anche confessioni. Almeno due PM e un avvocato che sono stati attori in mie denunce sono stati indagati e condannati in primo grado. Un PM ha anche confessato che in altre occasioni si era fatto corrompere. Sa cosa mi ha fatto particolarmente male in questo scandalo? Che sia scaturito dalle dichiarazioni rese da un indagato (poi definitivamente condannato) e non da un’indagine autonoma della magistratura. Mi ha fatto male leggere, prima che scattassero gli arresti, di un PM che in un’intervista definiva sostanzialmente il collega oggetto d’indagine come vittima di “denigrazione”. Come se interrogativi su cui fare luce non ce ne fossero mai stati. Uno dei due PM coinvolti nell’inchiesta e titolare di un fascicolo di una mia denuncia aveva riscontrato, grazie ad un accertamento bancario sui conti correnti bancari dell’indagato (quindi non con un calcolo induttivo, cioè presuntivo, ma basato su documentazione bancaria), movimenti per circa 700.000 euro superiori al fatturato. Finì che quel mare di denaro fu considerato come “imponibile non dichiarato” e non come provento di altre attività illecite. Siccome l’indagato era un imprenditore agricolo che (a quell’epoca) aveva pochi terreni fu considerato normale che quei denari provenissero (mi faccia passare un’iperbole) dalla semplice raccolta dei pomodori. Che, mi creda, non credo rendano così tanto! Di certo non mi risulta fatta nessuna indagine specifica sull’origine di quel denaro nonostante il padre dell’indagato avesse subìto, negli anni immediatamente precedenti, colossali furti di olio extravergine d’oliva in modalità poco chiare.

L’indagine seguita dall’altro PM coinvolto nello scandalo “Giustizia svenduta” fu forse ancora più paradossale. Nonostante, come sempre, l’inizio delle indagini desse ragione alle mie denunce producendo dei sequestri penali che resistevano a diversi ricorsi, il tutto naufragò in circa una settimana (altro che lentezza della giustizia: quando vogliono sanno come fare ad essere velocissimi). Era successo semplicemente che l’indagato aveva cambiato legale e nel giro di una settimana dalla conferma del sequestro da parte del GIP il nuovo legale fece nuova istanza di dissequestro al PM che la accolse dopo averla, in precedenza lui stesso negata. Il tutto, fra il diniego del GIP e il dissequestro del PM, ripeto, in circa una settimana. Tale avvocato e PM risultano essere fra quelli coinvolti nell’inchiesta “Giustizia svenduta”.

Detto questo, ho visto di tutto. Avvocati infedeli, enti pubblici chiaramente corrotti, alcuni settori di PG deviati e altro ancora. Credo che occorra investire risorse ingenti in sicurezza e legalità. Ed occorre una vera rivoluzione culturale che è il vero e più grande terrore del malaffare. I malavitosi odiano la cultura perché gli toglie terreno sotto i piedi. La cultura dà coraggio, invita a non arrendersi, a lottare per i propri ideali. Un giudice lo puoi anche corrompere, ma in una società sana non vai lontano comunque.

Qualche anno fa il “Liberatorio” ha denunciato la presenza di rifiuti pericolosi sui terreni del Consorzio ASI, attigui alle tue proprietà, cosa è accaduto dopo?

Ciò che è successo in quei terreni è incredibile. Mi creda, si potrebbe ricavare materiale per un film. Quel terreno è passato diverse volte da discarica di rifiuti ad “oliveto specializzato”, e questa volta non è un’iperbole, a seconda che l’accertatore sapesse o meno che il conduttore fosse sempre la stessa persona dei due esposti di cui ho parlato in precedenza. Il fatto che il Comune di Molfetta non mi risulta abbia mai preso provvedimenti contro il funzionario che certificò quei terreni invasi dai rifiuti fra cui amianto come “oliveto specializzato” mi supporta nella convinzione della genuflessione istituzionale che questi enti provano verso il soggetto.

Gli stessi agenti della polizia municipale hanno avuto comportamenti non sempre cristallini anzi talvolta molto discutibili. Ma appena gli accertamenti erano effettuati da organi di polizia giudiziaria che non conoscevano l’identità del conduttore il sito tornava prontamente e giustamente a essere classificato come discarica di rifiuti anche pericolosi. Ora quel sito è stato, dopo un lavoro durato mesi, finalmente bonificato (a ulteriore riprova che non si trattava di “oliveto specializzato”) con un grande sforzo economico da parte della comunità e mi auguro che il Consorzio ASI si attivi anche per la bonifica degli altri siti. Anche se una cosa, al posto del consorzio ASI, non la avrei fatta. Cioè dare, dopo oltre un decennio di occupazione senza titolo, in gestione suoli a personaggi che avevano gestito senza titolo terreni poi invasi dai rifiuti e su cui erano state anche perpetrate truffe ai danni dello Stato. Ma capisco, e sinceramente comprendo, che non possiamo umanamente pretendere che tutti siano disposti ad immolarsi per una causa pericolosa.

In questi quattro anni hai subìto minacce o altro tipo di “attenzioni” da parte di qualcuno?

Subisco “attenzioni”, chiamiamole così, dal giorno della mia prima denuncia. O meglio della prima archiviazione. Improvvisamente la mia azienda, la mia abitazione, sono diventati a rischio incendio più elevato di una polveriera. Mi creda, fra quelli gravi e meno gravi, non le so dire neanche io con esattezza quanto incendi ho subìto, certamente decine. Solo in un paio di settimane, nel mese di marzo 2021 ho rilevato quattro incendi in terreni da me condotti. Quattro incendi in due settimane, uniti a tutti gli altri incendi e ad altri episodi poco chiari dovrebbero, secondo me, indurre gli inquirenti a vagliare un fascicolo unico. Tra l’altro quello degli incendi è solo un aspetto, forse neanche il più grave. Ci sono altri aspetti su cui purtroppo non si è avuta la volontà di andare sino in fondo. Le cito solo un episodio: un giorno si presentarono a casa mia militari appartenenti ad un corpo speciale. Pur senza mandato, ripeto senza mandato di nessun giudice, effettuarono un accesso a casa mia, impedendomi anche di chiamare il mio avvocato. Non trovando nessuna prova di reato ne costruirono loro stessi di false. Nonostante il processo che ne è seguito io sia stato assolto anche su richiesta della stessa procura, nonostante i testi convocati dalla stessa procura abbiano confermato come le prove fossero state create proprio dai militari del corpo speciale, è purtroppo mancato il coraggio di chiedere conto ai militari del loro operato. Non so come possa succedere questo in uno stato di diritto.

La mia opinione è che continuerò ad essere bersaglio sinché le istituzioni, e la magistratura in particolare, non decideranno di fare indagini serie e puntuali. Guardi, le faccio un altro esempio. Qualche anno fa ho subìto anche un grosso furto di olio nel mio capannone. Consideri che io vivo nella casa accanto (anche quella a suo tempo incendiata) e segnalai i miei sospetti. Ci crede? Dopo oltre due anni scoprì che la denuncia era stata archiviata e la persona che avevo segnalato, nonostante due anni di “intense” ricerche, la PG non era stato in grado di “scovarlo”. Eppure io ci impiegai poco più di due secondi, il tempo di inviare una telefonata dal mio telefonino, per parlare con il soggetto “attenzionato” con un pretesto; che tra l’altro mi disse di non essersi mai allontanato. Non solo, le mie integrazioni di denuncia non erano neanche presenti nel mio fascicolo perché, forse, perse. O forse chissà. Ho segnalato alla procura anche questo dato e preferisco non dire altro anche perché, come sempre, non ho saputo molto altro. E fare ricerche è ora, glielo dico schiettamente, molto più difficile di prima. Sembrerà un ennesimo paradosso, ma avevo avuto modo di verificare alcune incongruenze delle indagini della procura “ante scandalo” proprio grazie ad un legittimo accesso agli atti. Ora, nonostante il “nuovo corso”, non riesco più a fare neanche quello.

Quali sono i tuoi progetti futuri sia da imprenditore che da romanziere?

Non credo mi cimenterò in una nuova fatica letteraria. Ma, sinceramente, credo che lo avrei detto anche il giorno prima che iniziassi a scrivere il mio libro. Quindi, mai dire mai.

Professionalmente voglio riprendermi ciò che mi è stato tolto, la mia vita, il mio lavoro. Senza istituzioni oneste so bene che è pura utopia. Nella mia vita volevo solo esercitare la professione di frantoiano, quella in cui sono nato. Mai, mi creda, avrei pensato di precipitare in una situazione simile. Mai avrei pensato di sopportare così tanto le conseguenze della corruzione e dell’intimidazione. Vorrà dire che continuerò a segnalare in attesa che il vento prima o poi cambi per davvero, perché almeno per ora, secondo la mia modesta opinione e vorrei certamente sbagliarmi, per chi vuole corrompere non è ancora un brutto momento.

di Matteo d’Ingeo

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