In un’agenda i favori del gip, De Benedictis vuole parlare.

 

Lecce, oggi gli interrogatori del giudice e del penalista Chiariello : di GIOVANNI LONGO e MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Scriveva tutto. Nomi, date, circostanze. Concetti collegati da frecce. Una calligrafia minuta e nervosa per appuntare ogni incontro. E, forse, anche i favori. Sabato scorso a casa del giudice Giuseppe De Benedictis i carabinieri hanno trovato soldi, cellulari e quella agendina piena zeppa di parole. E stamattina, nel carcere di Lecce, il gip arrestato sabato scorso con l’accusa di aver liberato mafiosi per denaro potrebbe effettivamente parlare. Raccontare la sua verità, spiegare perché ha accettato mazzette di cui, dice chi lo conosce, non aveva affatto bisogno.

L’inchiesta della Procura di Lecce, del resto, ha cristallizzato gli incontri tra De Benedictis, 59anni, e l’avvocato Giancarlo Chiariello, 69, anche lui in carcere da sabato: a documentare le
dazioni di denaro ci sono i video e le ammissioni del magistrato di Molfetta che venerdì 9, colto sul fatto con 5.500 euro in banconote da 100, non ha potuto far altro che ammettere l’evidenza. Prima ha tentato di giustificare i domiciliari concessi a un imprenditore di Foggia, Antonio Ippedico, con la presenza di una patologia smentita dalle intercettazioni. Poi, sapendo bene che un magistrato non può e non deve mai barattare la giustizia con il denaro, De Benedictis si è lasciato andare. «Mi vergogno – ha messo a verbale – e per questo lascerò la magistratura», cosa che ha effettivamente fatto il lunedì successivo con una lettera al presidente del Tribunale. Ma non gli è bastato ad evitare il carcere, né i titoli di giornale che pure tanto temeva.

Già sabato all’alba, quando hanno suonato alla porta di casa, De Benedictis ha detto ai carabinieri che avrebbe voluto collaborare. Ed è possibile che tre giorni nel penitenziario di Lecce, dove è guardato a vista, abbiano rafforzato questa convinzione, che è del resto l’unica possibilità per lasciare la cella. L’atteggiamento della Procura di Lecce con i magistrati è di estremo rigore: il pm Roberta Licci, che ha fatto arrestare e condannare l’ex gip Michele Nardi (16 anni e 9 mesi senza che sia saltato fuori un centesimo) e gli ex pm Antonio Savasta (10 anni in abbreviato) e Luigi Scimè (4 anni), senza consentire ai primi due di ritrovare la libertà, ha costruito una inchiesta partita dai pentiti e puntellata con riscontri difficilmente scalfibili. E non può sfuggire che il gip Giulia Proto, che in 134 pagine ha soppesato la gravità degli indizi raccolti in 10 mesi di intercettazioni e pedinamenti, sia lo stesso giudice che a Roma nel 2016 ha gestito il caso Accroglianò, la Dama Nera dello scandalo Anas: lasciò il carcere solo dopo aver raccontato anche l’ultima delle mazzette e dei favori.

De Benedictis e Chiariello rispondono, insieme ad almeno altre 10 persone, di concorso in corruzione in atti giudiziari. L’accusa contesta anche l’aggravante di aver favorito una associazione mafiosa, perché le cinque persone scarcerate in cambio di denaro – clienti di Chiariello – sono tutte sospettate di far parte di qualche clan. L’inchiesta, partita nel febbraio 2020 contro ignoti a seguito delle dichiarazioni di un pentito trasmesse dalla Dda di Bari, non è conclusa. Sabato i carabinieri hanno effettuato diverse perquisizioni. A casa di De Benedictis sono spuntati altri 4mila euro, nascosti sempre nella stessa cassettina di sicurezza coperta da una falsa presa elettrica in cui il 9 aprile erano già stati trovati 20mila dei 57mila euro ritenuti le mazzette dall’avvocato Chiariello. Da quel giorno il giudice sapeva che l’arresto era solo questione di tempo. E non ha fatto nulla per far sparire i soldi.

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