Imprenditore spinto sul baratro dai nuovi usurai della mafia. Svelato il «sistema» studiato dai clan.

I nuovi signori del Sistema. Fingono di regalare migliaia di euro a chi soffre per assenza di liquidità e innescano così il circuito dello strozzo. Un circuito che ha inghiottito e stritolato un imprenditore barese, alla mercé di ben quattro diversi clan malavitosi, che lo hanno portato oltre l’orlo della rovina.

Le indagini del Nucleo di Polizia Economica della Guardia di Finanza, con il coordinamento del Procura- tore facente funzioni, Roberto Rossi, hanno svelato l’esistenza di vere e proprie strutture organizzate, emanazione delle famiglie di camorra, che prestano denaro a tassi di interesse elevatissimi a commercianti, piccoli imprenditori e artigiani in crisi di liquidità nelle province di Bari e Barletta-Andria-Trani.

«Cravattari» che non chiedono contropartita immediate, ma future connivenze, con l’obiettivo di infiltrarsi ulteriormente nel tessuto economico. Una specie di onorata società finanziaria che ha messo in piedi un giro di prestiti con tassi di interesse annui di oltre il 1200%.

Le indagini sono partite dalla denuncia presentata da un imprenditore, in grave difficoltà, che è finito sotto lo schiaffo di ben quattro clan malavitosi. La vittima ha raccontato di ricevere i prestiti in denaro contante e di restituire le somme banconota su banconota, o attraverso l’emissione di assegni bancari privi dell’indicazione del beneficiario, oppure di assegni circolari all’ordine di soggetti contigui al clan. Le ricerche dei finanzieri hanno permesso di stabilire che l’assegno bancario senza l’indicazione del beneficiario veniva speso successivamente presso esercizi commerciali ed intestato al titolare dell’attività economica (generi alimentari, abbigliamento, mercerie) che lo poneva all’incasso. Per dissimulare le tracce dei flussi di denaro generati dai prestiti, in alcune occasioni sarebbero stati i parenti della vittima a firmare gli assegni circolari per la restituzione delle somme. In caso di insolvenza o di ritardi nel pagamento degli interessi partivano le «spedizioni punitive».

Secondo la versione della Gdf il giro avrebbe coinvolto ben 90 persone, ognuna aveva un compito ben preciso. C’erano i capi, i luogotenenti, gli intermediari (che mettevano le vittime ed i cravattari), i beneficiari degli assegni circolari (contigui ai clan) gli esattori che hanno riscosso gli interessi, o hanno eseguito le spedizioni punitive. Si tratta solo del segmento di una inchiesta molto più ampia che tenta ora di ricostruire le trame di un giro, che coinvolge più gruppi mafiosi in due provincie.

Il meccanismo è perverso, costruito prima dell’inizio della pandemia, che la crisi economica, effetto collaterale del lockdown, ha aggravato. Un’opera di ingegneria finanziaria criminale che viene architettata da un nuovo soggetto: le famiglie di camorra.

Dalle indagini emerge come soggetto nuovo (in parte) in una posizione dominante nel mercato dei prestiti ad usura la mafia del territorio che allarga il proprio «business plan», il progetto imprenditoriale, investendo capitali freschi nello strozzinaggio con le famiglie di camorra barese in prima linea a guidare le danze.

Le indagini iniziate prima della pandemia, sembrano disegnare scenari nuovi, almeno in parte. Il borsino dei prestiti con tassi usurai infatti ha sempre visto tra i propri investitori soggetti legati alle mafie, ma la presenza sistematica delle famiglie di camorra parrebbe il dato nuovo all’interno di un sistema speculativo che ricicla i capitali provenienti dagli altri traffici illeciti. Gli investigatori stanno tenendo sotto stretta osservazione le imprese (soprattutto le medio-piccole) in crisi per la mancanza di liquidità e la stasi del mercato. I ristori statali hanno rappresentato un palliativo, una tregua. Il denaro mafioso sta erodendo il tessuto economico sano delle nostre province.

Ma in che maniera domanda e offerta si stanno incontrando? Le modalità di approccio tra chi ha denaro da prestare e chi ha bisogno di denaro per sopravvivere stanno mutando. C’è l’abboccamento «tradizionale», quello in cui la vittima sfrutta il passaparola, per raggiungere l’usuraio al quale chiede una somma di denaro, che crede di poter restituire con relativa facilità, per poi arrendersi al lievitare degli interessi che finiscono per schiacciarlo. E c’è una nuova modalità in cui non è l’imprenditore a cercare il contatto con chi gli presterà soldi ma, al contrario, viene cercato. A creare il contatto a volte sono altre vittime che, facendo un favore allo strozzino, sperano di poter scontare almeno una parte del loro debito. A bussare alla porta della vittima è un mediatore nei panni di un sedicente imprenditore, oppure una non meglio attività di impresa che propone alleanze economiche, strategie per aggirare il Fisco senza correre rischi o l’ottimizzazione dei costi, in cambio di un ingresso nell’attività oppure di denaro, pagamenti in comode rate a partire da subito o dopo la fine della pandemia.

Gettate le basi per la collaborazione, dopo un po’ a chi ha accettato il prestito arrivano le prime pressioni per aumentare il debito, per effettuare qualche lavoro di ristrutturazione in ditta, poi arriva la proposta di rilevare pezzi di proprietà per ripagare le spese e alleggerire l’esposizione. La spirale è innescata e alla fine la vittima e la sua azienda vengono risucchiate e stritolate dai debiti. L’azienda è svuotata e passa di mano con una banale transazione.

Le indagini condotte fin qui dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economica dicono che in terra di Bari si incontrano la cosiddetta «usura di quartiere», della porta accanto e quella «in forma associativa» entrambe espressione di un «welfare criminale di prossimità» ossia quel perverso sostegno finanziario, sia alle famiglie che agli imprenditori in difficoltà o in crisi liquidità.

Come evidenziato nella Relazione annuale 2020 dell’Ufficio del Commissario Straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, piccole e medie imprese, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti con partita IVA, che proprio a causa della sospensione prima e del rallentamento poi delle loro attività sono i più esposti all’usura.

fonte: Luca Natile – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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