Negli atti depositati dalla Procura di Lecce, a sostegno della richiesta di arresto dell’ex gip De Benedictis e dell’avvocato Giancarlo Chiariello (in carcere dal 24 aprile per corruzione in atti giudiziari) c’è una duplice fotografia. Da un lato pezzi di giustizia asservita a interessi personali, come ha scritto la gip Giulia Proto nell’ordinanza di custodia cautelare, e dall’altro un sistema che si è allertato immediatamente di fronte all’eventualità che al suo interno vi fossero mele marce e ha avviato le procedure necessarie per avviare le indagini. Un iter non certo semplice, perché — si è ragionato a lungo nei giorni scorsi nei palazzi di giustizia baresi — l’ultima cosa che vorrebbe un magistrato è scoprire l’infedeltà di un proprio collega o collaboratore. E anche perché portare avanti indagini secretando ogni atto e ogni comunicazione con la Procura della Repubblica di Lecce non è stata cosa facile. Così come non lo è stato per i carabinieri del Nucleo investigativo, che da pedinamenti e intercettazioni hanno scoperto di avere pecore nere anche al proprio interno.

La ricostruzione

Eppure, mettendo insieme i tasselli da febbraio 2020 al 24 aprile scorso si capisce che il sistema ha funzionato. E sta funzionando ancora, se è vero che le indagini sono in corso e che uno degli indagati, il pregiudicato viestano Danilo Pietro Della Malva — accusato di avere pagato 30mila euro per essere scarcerato — ha deciso di collaborare con la giustizia. Del resto è stato proprio un pentito ad alimentare con le sue dichiarazioni la scintilla che ha causato l’incendio: Domenico Milella, ex braccio destro di Eugenio Palermiti, boss del quartiere Japigia, che da un anno e mezzo ha riempito migliaia di pagine di verbali.