Giudice arrestato a Bari, spuntano complici insospettabili anche tra le forze di polizia. L’ipotesi: “Teneva armi per il clan”

È emersa la presenza di diversi carabinieri legati a filo doppio con il giudice, che per accontentarlo avrebbero commesso reati di diversa natura. L’arsenale sequestrato potrebbe essere stato messo insieme anche sottraendo armi all’Esercito con il contributo di pubblici ufficiali – fonte:  Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Ci sono esponenti delle forze dell’ordine tra i presunti complici dell’ex giudice Giuseppe De Benedictis, al quale il 13 maggio è stata notificata una seconda ordinanza di custodia cautelare dopo quella che il 24 aprile l’aveva fatto finire in carcere per corruzione in atti giudiziari assieme all’avvocato barese Giancarlo Chiariello.

Il magistrato aveva messo insieme un arsenale da guerra, composto da 193 pezzi e custodito in una masseria di Andria, e ora la Procura di Lecce indaga in due direzioni, puntando da una parte ai pubblici ufficiali che hanno consentito al gip e al caporal maggiore dell’Esercito Antonio Serafino (anche lui in carcere) di reperire e trasportare le armi e, dall’altra, agli uomini dei clan dai quali quel materiale è stato acquistato. O, peggio, per i quali era detenuto.

A questa ipotesi — secondo la gip Giulia Proto — porterebbe la frase intercettata dalla polizia, che ha ascoltato De Benedictis manifestare il timore che se qualcuno avesse scoperto l’arsenale, avrebbe potuto “risalire a chi non devono”. “Accanto all’accertamento tecnico — è scritto nell’ordinanza — è di fondamentale importanza l’accertamento in merito alla provenienza delle armi e alla possibile detenzione per conto di soggetti terzi, orbitanti nell’ambito della criminalità organizzata locale”.

Armi utilizzate

Che quella messa insieme da De Benedictis non fosse una collezione da tenere nel cassetto, ne sono convinti i magistrati di Lecce. In una conversazione con Serafino — intercettata dalla squadra mobile di Bari — il giudice diceva “io vado a sparare in campagna con l’M12”. E poi, parlando di un grosso fucile in arrivo, spiegava: “Purtroppo è bello, è storico ma non è efficiente. O meglio, il mestiere lo fa ma è troppo pesante…”. Senza tralasciare quanto accaduto a Capodanno, quando De Benedictis aveva intenzione di festeggiare sparando “ma senza arrivare fino ad Altamura” e per questo partecipava alla cena a casa di Serafino, a Ruvo, e poi i due si davano alla pazza gioia. I colpi erano talmente forti che gli investigatori li hanno registrati con l’ambientale piazzata su una macchina e le frasi a corredo confermavano che era stata usata “roba di piombo”, compreso un lanciarazzi della Marina e dei fumogeni.

I militari

Proprio la particolarità di alcune armi trovate nell’arsenale porta i pm a sospettare che qualche pezzo possa provenire dai depositi delle forze dell’ordine. “Tra gli accertamenti da espletare vi sono quelli di una possibile sottrazione di armi all’Esercito — scrive la gip — con il contributo di altri pubblici ufficiali infedeli, che hanno garantito copertura”. Del resto, proprio a un militare, De Benedictis fa riferimento mentre parla con Serafino di un trafficante, che avrebbe dovuto procurargli roba di un certo peso.

E militari sono anche quei cinque carabinieri che, tre anni fa, avrebbero fatto da staffetta durante il trasporto di una grossa quantità di armi dal precedente nascondiglio alla masseria di Tannoia. Su di loro le indagini sono in corso, perché — sia nell’inchiesta sull’arsenale che in quella per corruzione in atti giudiziari — è emersa la presenza di diversi esponenti dell’Arma legati a filo doppio con il giudice, che, per accontentarlo, avrebbero commesso reati di diversa natura.

Il ricatto di Tannoia

Era ciò che più preoccupava De Benedictis, le cui dichiarazioni, registrate dalla polizia a sua insaputa, aggravano la posizione dell’imprenditore andriese proprietario della masseria. Antonio Tannoia è in carcere dal 29 aprile e, secondo gli inquirenti salentini, era perfettamente consapevole del fatto che nella sua proprietà ci fosse un arsenale nonostante abbia provato a dire il contrario. Sul punto, le interlocuzioni tra De Benedictis e Serafino lasciano pochi dubbi: “Come faccio a mandarlo a quel paese… Lui c’ha il deposito della roba mia… Quando ricevo qualcosa di pesante per forza da lui la devo portare”, diceva l’ex gip. “Il rimedio si trova e lui è sempre in debito con te”, rispondeva il caporale.

Come se tra De Benedictis e Tannoia, oltre alla declamata amicizia, ci fosse un legame basato su inconfessabili favori. Confermato da altre intercettazioni: “Mi tiene per le palle… Questo va allontanato piano piano, lo sai che non lo posso mandare via di colpo. Ho attaccato mani, piedi e bocca, non posso fare niente”.

La versione del giudice

La gip Proto lo definisce “trafficante di armi da guerra” ma lui, interrogato dopo l’arresto del 24 aprile per corruzione in atti giudiziari, ha cercato di accreditarsi come semplice collezionista, escludendo di avere commesso alcun reato dopo l’arresto del 2010 per detenzione illegale di armi.

“Quelle che detenevo illegalmente erano armi della Prima guerra mondiale, di proprietà di mio zio che era ufficiale di Marina — ha messo a verbale — ma me ne sono liberato a Natale 2010. Con una barca a remi partii dal porticciolo di Molfetta, portando un borsone pieno di quelle armi e lo buttai in mare. Feci tutto da solo“.

In merito alle conversazioni con Serafino e Tannoia, De Benedictis ha poi aggiunto spontaneamente: “Si tratta di interlocuzioni goliardiche oppure di idiozie mutuate in chat da Facebook e che noi commentavamo in maniera goliardica”. Inoltre ha spiegato di non sapere se Tannoia avesse ville fuori città.

Il Riesame

Di fronte al grave quadro accusatorio delineato nell’ordinanza relativa all’arsenale, i difensori del giudice (Gianfranco Schirone e Saverio Ingraffia) hanno rinunciato a discutere davanti al Tribunale del riesame l’istanza di annullamento della custodia cautelare imposta per la corruzione il 24 aprile. È stata invece discussa quella relativa all’avvocato Giancarlo Chiariello, difeso dagli avvocati Raffaele Quarta e Andrea Sambati. Il collegio presieduto dal giudice Carlo Cazzella (affiancato da Pia Verderosa e Giovanni Gallo) ha respinto tale sollecitazione e confermato la custodia in carcere. Chiariello, che insieme con il figlio Alberto è protagonista anche di un’indagine della Procura di Bari per riciclaggio, si trova nel penitenziario di Altamura ormai da due settimane.

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