Antonio Tannoia è stato interrogato per sei ore dai pm di Lecce che hanno chiesto e ottenuto l’arresto dell’ex gip di Bari, Giuseppe De Benedictis, in un’inchiesta per corruzione e, fra l’altro, detenzione di armi anche da guerra – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it
Ha parlato a lungo e rivelato molti particolari dei suoi rapporti con il giudice Giuseppe De Benedictis e della sua passione per le armi, l’imprenditore andriese Antonio Tannoia. Sei ore di confronto con i pm di Lecce Roberta Licci e Alessandro Prontera, che il 24 aprile hanno fatto finire in carcere il giudice per corruzione (insieme con l’avvocato barese Giancarlo Chiariello) e dopo quindici giorni gli hanno contestato il possesso di un arsenale con 200 armi da guerra, custodito proprio nella masseria di Tannoia in contrada “Borduito” ad Andria.
La proprietà della tenuta è costata il carcere all’imprenditore, che ieri — assistito dall’avvocato Mario Malcangi — ha ammesso di essere proprietario soltanto di quelle tre pistole e tre fucili trovate dalla Squadra Mobile di Bari il 28 maggio nel corpo principale della masseria. Erano nascoste in una stanza segreta, a cui si accedeva smontando un mobile della cucina e sono state trovate grazie all’utilizzo di un georadar. Le armi erano perfettamente funzionanti e matricolate, ben conservate come si addice a un estimatore quale sarebbe anche Tannoia.
Di lui De Benedictis e il caporal maggiore Antonio Serafino (anche lui finito in carcere) dicevano che “vendeva e comprava, vendeva e comprava“. E, sul punto, l’imprenditore è stato molto preciso nel corso dell’interrogatorio, che è stato svolto volutamente “al buio“, ovvero senza che fosse a conoscenza degli atti d’indagine a sostegno dell’ordinanza di arresto nei confronti di De Benedictis e Serafino.
Una scelta processuale precisa, da parte dell’avvocato Malcangi, per non inficiare la genuinità delle sue dichiarazioni. Rispetto alle quali, tuttavia, i pm non sembrerebbero completamente soddisfatti. Tannoia, però, ha ancora molto altro da raccontare e, per questo motivo, si è detto disponibile ad affrontare un secondo interrogatorio, questa volta con le carte in mano ovvero dopo aver studiato gli atti investigativi a sostegno della misura cautelare dei due coindagati.
Del resto, l’inchiesta relativa all’arsenale affonda le radici in quella sulla corruzione, che ipotizza un sistema di tangenti versate all’ex gip da alcuni avvocati per ottenere scarcerazioni facili. Nel corso di quelle indagini De Benedictis era intercettato e pedinato dai carabinieri e, in più di una circostanza, ha fatto riferimento alle armi nascoste ad Andria e al loro utilizzo.
Numerosi anche i riferimenti a Tannoia, al quale il magistrato era legato da antica amicizia, come l’imprenditore ha confermato senza esitazione. I loro rapporti affondavano in un passato lontano e — secondo la tesi degli inquirenti — sarebbero stati caratterizzati da diversi scambi da favori.
Di sicuro il favore più grosso era quello che Tannoia faceva a De Benedictis, consentendogli di custodire l’arsenale in una depandance della sua masseria, anche se, sul punto, ha ribadito di non essere stato a conoscenza dell’enorme quantità di armi che vi erano nascoste.
L’imprenditore ha risposto anche alle domande su Serafino, che — dalle intercettazioni — emerge come persona capace di procacciare armi illegalmente ai suoi amici. Tra Tannoia e Serafino, però, non c’erano rapporti amicali, a differenza di quelli intrattenuti con altre persone.
Il sospetto della Procura di Lecce è che De Benedictis non fosse un estimatore di armi che agiva in maniera isolata ma che attorno a lui ruotassero una serie di personaggi, che potrebbero aver commesso più di un reato. L’ex giudice l’8 giugno sarà a sua volta interrogato dagli inquirenti, dopo un mese e mezzo di detenzione in carcere.