Giudice arrestato a Bari, il brillante avvocato complice dichiarava guadagni da fame. I boss: “Scegli lui”

La procura di Bari dopo le perquisizioni scopre l’evidente sproporzione tra i redditi dichiarati e il tenore di vita. Le intercettazioni dei mafiosi foggiani di Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Dichiarava al fisco guadagni da avvocato alle prime armi, il penalista barese Giancarlo Chiariello e, contemporaneamente, manteneva un tenore di vita molto elevato, acquistava immobili e automobili di lusso. Alle indagini della Procura di Lecce – che il 24 aprile lo hanno portato in carcere, con l’accusa di corruzione in atti giudiziari, insieme al giudice Giuseppe De Benedictis e al pregiudicato viestano Danilo Pietro Della Malva – si affiancano quelle della Procura di Bari, che indaga su Chiariello, e il figlio trentenne Alberto, anche lui avvocato.

Le ipotesi di reato contestate dal procuratore Roberto Rossi sono dichiarazione infedele dei compensi, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, riciclaggio e autoriciclaggio, in base alle quali il 27 aprile gli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria di Bari si sono presentati nei due studi Chiariello in via Sparano e in via Andrea da Bari. Lì è stata acquisita un’enorme mole di documenti cartacei ma è stato trovato poco materiale informatico utile, considerato che l’avvocato indagato sembra lavorasse ancora alla vecchia maniera ovvero scrivendo a mano istanze, arringhe e probabilmente anche i suoi conti. Che, al momento, non tornano affatto e che saranno approfonditi da accertamenti bancari che la Procura di Bari disporrà.

Dal primo esame delle dichiarazioni dei redditi di Chiariello, infatti, è emersa un’enorme sproporzione tra i guadagni ricavati e quelli che sarebbe lecito attendersi da uno studio di quelle proporzioni e così ben quotato, che da anni assiste centinaia di clienti, molti dei quali esponenti di spicco della criminalità organizzata barese, foggiana e della Bat, con patrimoni ingenti determinati dagli affari illeciti. Proprio le recenti scarcerazioni di alcuni di questi clienti hanno fatto finire il penalista nei guai.

Dopo l’arresto, Chiariello ha ammesso di avere dato denaro al magistrato ma solo in relazione agli episodi provati dai carabinieri di Bari con intercettazioni telefoniche e ambientali, precisando che era stato l’amico giudice a chiedergli aiuto economico. L’ordinanza della gip Giulia Proto, però mostra un rapporto confidenziale con De Benedictis, incontri in cui il gip e l’avvocato si sarebbero accordati nella concretizzazione di “un canovaccio operativo sempre uguale”.

Come la vicenda di Roberto Dello Russo, arrestato per mafia da De Benedictis nel dicembre 2019. Una giovane avvocata (che lo co-difendeva insieme a Chiariello) aveva presentato richiesta di scarcerazione ma era stata rigettata, perché per il penalista anziano “non era ancora il momento giusto” . Quel momento era arrivato dopo un suo incontro con il giudice, avvenuto nel giugno 2020, nel quale il magistrato spiegava di non aver potuto scarcerare tale Spinelli e aggiungeva che avrebbe rimesso in libertà un altro: “Spinelli poi si vede, più in là te la faccio, intanto ti faccio Monacis” .

E poi su Dello Russo, concordavano modalità di presentazione della richiesta e prezzo della scarcerazione: “Quando devi presentare la domanda per quello?” chiedeva De Benedictis; “Io quello volevo sapere. Lunedì o martedì?” rispondeva l’avvocato; “Va bene” . Quindi le questioni economiche: “Può darli?” chiedeva il giudice; “Sedici, qualche cosa in più…“, asseriva Chiariello; “Diciotto, fai prima guerra mondiale dai” continuava il gip; “Va bene, mi tolgo tutto io” assicurava l’altro.

Secondo la Procura di Lecce questo dialogo significava che era stato pattuito in 18mila euro il prezzo della libertà per Dello Russo, che prima fu mandato in una comunità terapeutica in Salento, poi a Bari, infine a casa a Terlizzi. Altri due episodi citati nell’ordinanza: la certezza di avere avuto un provvedimento favorevole per un altro cliente prima che fosse depositato e l’indicazione data ai co-difensori di depositare certe istanze delicate solo ad uno dei cancellieri del giudice. Senza dimenticare le dichiarazioni del pentito Domenico Milella, che a un esponente di un clan del Gargano suggeriva: “Se come giudice hai De Benedictis metti un avvocato di Bari: Chiariello o un altro che lo conosce”.

 

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