di La Redazione (www.ilfatto.net/…)
A bordo di quella unità navale, una delle più grandi e conosciute della marineria molfettese, trovarono la morte cinque persone: il comandante Giuseppe Pansini, il motorista Luigi de Giglio, il capopesca Francesco Zaza e i marinai Saverio Gadaleta e Mario de Nicolo. Solo il corpo di Mario de Nicolo venne recuperato alcune ore dopo l’affondamento dalle unità navali giunte in soccorso. I corpi degli altri quattro membri dell’quipaggio giacciono a circa 200 metri di profondità assieme al relitto dell’imbarcazione. L’inchiesta aperta all’epoca dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani, portò all’archiviazione del procedimento per morte del reo: in sostanza si disse che l’esplosione venne provocata da un quantitativo non meglio precisato di materiale esplodente presente a bordo del peschereccio.
Secondo la magistratura italiana quindi i cinque marinai molfettesi stavano contrabbandando esplosivo. Una tesi non solo respinta dalla intera marineria di Molfetta e dalle famiglie delle vittime ma assolutamente smentita dalla analisi dei fatti e dai relitti recuperati nell’area di mare in cui avvenne la tragedia oltre che dalle immagini registrate sul fondo del mare con l’ausilio di un robot.
Troppi particolari portarono già allora a pensare che il "Francesco Padre" fosse rimasto vittima di un "incidente di guerra": in quel periodo infatti erano in corso le operazioni militari europee contro la Jugoslavia e nel tratto di mare in cui avvenne l’affondamento erano presenti numerose unità navali, anche sommergibili, di diverse marine militari impegnate in una esercitazione. Insomma tanti misteri coperti anche dal segreto di stato e che in tanto tempo sono stati celati dietro un vero e proprio muro di gomma che oggi si tenterà di abbattere tentando di riportare a galla verità sommerse che hanno fatto si che la tragedia del "Francesco Padre" venisse ribattezzata "l’Ustica dei mari".