Caso De Benedictis, il pentito Milella rivela tariffari e favori. “Per le scarcerazioni si paga dai 30 ai 50mila euro”

Il verbale dell’interrogatorio dell’ex braccio del destro del boss barese Palermiti nell’inchiesta sull’ex giudice e sull’avvocato Chiariello estato depositato fra gli atti dell’udienza preliminare. “Ho messo in allarme i colletti bianchi” – fonte: Tatiana Bellizzi, Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Dopo la mia collaborazione con la giustizia i colletti bianchi di Bari si sono allarmati, perché dicevano ‘quello è uno che sa tante cose’...”. Parlava così Domenico Milella – l’ex braccio destro di Eugenio Palermiti (boss di Japigia) che oggi è collaboratore di giustizia – con i pm di Lecce il 28 maggio scorso. E il fatto che di cose ne sapesse, e ne abbia dette tante, è dimostrato dalle numerose pagine di omissis che imbiancano il verbale di interrogatorio.

A sollecitare le dichiarazioni sono stati i sostituti procuratori Roberta Licci e Alessandro Prontera, che hanno coordinato l’indagine dei carabinieri di Bari che ha fatto finire prima in carcere e poi sotto processo l’ex gip Giuseppe De Benedictis e l’avvocato Giancarlo Chiariello. Quest’ultimo è da alcuni mesi agli arresti domiciliari, mentre a De Benedictis i giudici salentini finora hanno sempre negato la scarcerazione. Il verbale di Milella è stato depositato fra gli atti dell’udienza preliminare in cui sono imputate nove persone per corruzione in atti giudiziari e che riprenderà il 26 novembre. Dall’interrogatorio sono emersi spunti investigativi importanti, sui quali la Procura ha disposto ulteriori accertamenti.

Corrotti e corruttori

Le domande dei pm si sono concentrate, in particolare, sulle figure di altri avvocati, oltre a Chiariello, che potrebbero aver pagato De Benedictis per ottenere da lui provvedimenti favorevoli, ma anche su altri magistrati. Della possibilità di avvicinarli, Milella ha detto di avere sentito parlare “dagli Strisciuglio e dai Capriati, che io ho amici da tutte le parti“. E anche loro avrebbero riferito che “De Benedictis era una garanzia”, ovvero che i domiciliari erano garantiti. “Quando c’era lui la scarcerazione l’avevi già in tasca, quando c’era qualcun altro allora si facevano i discorsi… al giudice dobbiamo dare…“. Le domande, e le risposte, su possibili corruttele di altri giudici sono omissate nel verbale. Poi il pentito riprende a parlare dei penalisti: “Parecchi avvocati, non solo Chiariello, avevano a che fare, davano mazzette a questo giudice.. Poi è successo che hanno beccato Chiariello, ma ci saranno anche altri“. Di fronte a tale affermazione, la pm Licci ha specificato che dei penalisti “bisogna parlare uno a uno“, tirando fuori i nomi e facendo domande specifiche, e di nuovo sono tornati gli omissis.

Il tariffario

Il fatto che alcuni avvocati baresi avessero buoni rapporti con determinati giudici Milella lo ha detto e ripetuto in tutte le salse, facendo i nomi dei sodali a cui le scarcerazioni erano state annunciate come certe dai loro difensori. Giovanni Palermiti, per esempio, gli aveva detto che nel 2007 aveva pagato un difensore 20mila euro per andare ai domiciliari e che una parte di quei soldi sarebbero andati al gip De Benedictis. Il denaro per gli avvocati “ognuno di noi lo pagava in parte di tasca sua, pure quando stavamo in carcere, perché arrivava lo stipendio da 3-4mila euro al mese… E poi c’erano i soldi della cassa comune che servivano per le spese legali“. Per questo motivo i sodali più in alto nella scala gerarchica potevano permettersi di spendere cifre anche molto elevate: “Io ho pagato anche 40-50mila euro… Ma erano soldi ben spesi, perché gli avvocati erano capaci di tirare fuori il risultato“. Soprattutto in relazione alle scarcerazioni, a quanto pare, sulle quali i pubblici ministeri di Lecce hanno insistito molto. A precisa domanda su quale fosse la tariffa per averle, Milella ha risposto testualmente: “Dai 30 ai 50mila euro“. Nel caso in cui si associassero due avvocati (come spesso accadeva per i boss), “erano da 30 a 50 a testa”.

“Tutto in nero”

Sulle modalità utilizzate dai clan baresi per pagare i difensori, Domenico Milella non ha avuto esitazioni: “In contanti e senza ricevuta“. “Quando tu fai la nomina devi dare almeno 30mila euro alla scarcerazione – ha spiegato – poi quando viene a parlare fai la nota, gli lasci 5mila euro“. “Sempre in contanti? – chiedeva la pm Licci – Per una cosetta piccola da 10mila euro facevano la ricevuta, la fattura?” “Nessun avvocato ti fa mai ricevuta, fattura“, rispondeva “u’ Gnur”, che nell’ultimo decennio ha speso per difendersi circa mezzo milione di euro

Le mezze verità

Fra tante rivelazioni, i magistrati di Lecce sospettano che qualche cosa Milella l’abbia tenuta per sé. “Non so se Chiariello ha dato soldi al giudice, a me non ha mai fatto avere nulla” – ha detto, nello stesso interrogatorio in cui ha raccontato dei “buonissimi rapporti che molti avvocati avevano con De Benedictis“. La tesi dei pm è che essendo stato Chiariello il suo difensore fino al giorno prima di pentirsi, Milella abbia preso accordi con lui per non tirarlo mai in mezzo direttamente in questa vicenda.

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