B&b e mafia a Bari: le prime carte dell’inchiesta. “Così il clan investe sul turismo”

A Bari vecchia, mentre b&b e case vacanze riaprono in vista della primavera, i Capriati hanno avviato un’attività di street food che viene pubblicizzata anche sui social. E a Madonnella continuano le aperture di attività ricettive, alcune delle quali riconducibili a gruppi criminali – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

I clan baresi hanno imparato a investire nel turismo. Lo raccontano i collaboratori di giustizia e anche le inaugurazioni di nuovi locali, alcuni dei quali direttamente riconducibili a famiglie dal cognome pesante. A Bari vecchia, mentre b&b e case vacanze riaprono in vista della primavera, i Capriati hanno avviato un’attività di street food che viene pubblicizzata anche sui social. Mentre a Madonnella continuano le aperture di attività ricettive, alcune delle quali riconducibili a gruppi criminali di Japigia.

Il clan più potente

A parlare degli interessi dei Palermiti nel turismo è stato, fra gli altri, uno dei quattro collaboratori di giustizia utilizzati dalla Dda per imbastire l’inchiesta che il 13 febbraio ha portato in carcere il capoclan 70enne Eugenio con le accuse di lesioni aggravate nei confronti di Teodoro Greco e di atti persecutori verso tre pentiti. Dalle indagini della Squadra mobile — coordinate dal pubblico ministero Fabio Buquicchio — è emerso uno spaccato allarmante sul controllo sociale del territorio effettuato dal gruppo mafioso, che riuscirebbe a far assumere persone in varie attività (nel caso specifico i riferimenti erano a una concessionaria, a una ditta di distribuzione di giornali e a una di pulizie), a indirizzare voti verso alcuni politici in cambio di denaro, a investire in attività legali i proventi di traffici illeciti. Di Eugenio Palermiti, in particolare, alcune persone che gli sono state affiliate hanno raccontato che «è dannato per i soldi» e che riesce a farli lievitare a dismisura. Come dimostrano anche le fotografie del parco moto di famiglia, postate dal nipote omonimo (e disoccupato), in cui sfoggia anche abiti firmati e denaro contante. Il core business del gruppo — stando a quanto ricostruiscono le indagini — resterebbe il traffico di droga e, sul punto, sono stati sempre i collaboratori a spiegare che i ritmi di vendita sono consistenti: «Se lavori con lui gli devi portare 2-3mila euro al mese». Tanto accumulo di contante avrebbe poi portato all’individuazione di altri settori in cui investire: «Prima il noleggio auto», poi il turismo «tramite alcuni b&b», come ha raccontato un pentito in un interrogatorio a maggio del 2022.

I lidi

Anche il litorale fa gola alle famiglie di mafia. E non soltanto quello immediatamente a ridosso del capoluogo, considerato che le Procure valutano pure ipotesi di riciclaggio di denaro sporco proveniente da Bari in Salento (in particolare nel Gallipolino). Per restare in città basti ricordare il caso di Torre Quetta, la spiaggia di fronte al quartiere Japigia, che per alcuni anni è stata gestita dalla cooperativa Il Veliero, riconducibile a Orlando Malanga, sospettato di essere il referente della criminalità nella zona. A parlare di lui era stato Domenico Milella, ex braccio destro del boss Eugenio Palermiti e collaboratore di giustizia dal 2020. «Li fa campare tramite il bar, poi gli appalti — aveva detto in un interrogatorio — Insomma ha messo le persone a lavorare». Proprio grazie alle dichiarazioni di Milella, la Procura aveva ipotizzato che nella passata gestione della spiaggia fossero stati inseriti, tramite subappalti o dipendenti, pregiudicati o persone vicine ai clan. Diversi anni fa altre rivelazioni avevano riguardato strutture ricettive della Murgia, nelle quali erano stati ipotizzati investimenti del clan Parisi e dove spesso sono stati registrati matrimoni e banchetti di esponenti del clan.

Gli allarmi

Che il turismo a Bari sia la gallina dalle uova d’oro su cui la mafia ha già cominciato a mettere le mani lo hanno fatto intendere più volte il procuratore di Bari, Roberto Rossi, e il coordinatore della Dda, Francesco Giannella, nonché il neoprocuratore generale Leonardo Leone de Castris, che già quando era alla guida degli uffici inquirenti di Lecce aveva registrato il reinvestimento di capitali di dubbia provenienza in attività turistiche del Salento. Allarme rilanciato più volte anche da don Angelo Cassano, referente regionale dell’associazione Libera contro le mafie, che alcuni mesi fa aveva sottolineato il fatto che nel borgo antico di Bari molte case e negozi fossero in vendita e che sarebbe utile interrogarsi su chi oggi abbia la possibilità di acquistarli nonché sul grande consenso che le famiglie mafiose continuano ad avere in quella parte di città.

A Bari vecchia

Consenso amplificato dai social, dove i rampolli dei clan mostrano la grande disponibilità di denaro e fanno proseliti. E dove pochi giorni fa è stata pubblicizzata l’apertura di un’attività commerciale che sarebbe direttamente riconducibile alla famiglia Capriati. Sulla sua pericolosità è stato chiarissimo il procuratore Rossi anche nell’audizione dello scorso anno davanti alla commissione parlamentare Antimafia: «È stato il primo gruppo i cui capi sono finiti in carcere e il primo ad avere avuto scarcerazioni eccellenti, rispetto alle quali oggi stiamo lavorando».

Combattere la mafia

A Bari fortunatamente c’è anche chi cerca di spianare la strada del turismo a giovani in cerca di lavoro. È il caso della cooperativa sociale Caps, presieduta da Marcello Signorile, che a Santo Spirito ha fatto rinascere un bene confiscato trasformandolo in un laboratorio di progettualità proprio nel campo della ristorazione e dell’ospitalità. La sede è una villa ottocentesca tolta negli anni Novanta al clan Lazzarotto, nella quale ha preso vita Artemisia Accademy, bistrot con annesso b&b, in cui ragazzi disagiati hanno la possibilità di imparare un mestiere tramite una serie di borse lavoro.

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