È Filippo, nipote del boss Tonino. L’impianto accusatorio regge sino in Cassazione – fonte: Isabella Maselli – www.lagazzettadelmezzogiorno.it
Filippo Capriati, 51 anni, è il capo indiscusso del «nuovo» omonimo clan mafioso di Bari Vecchia, costituito sul «brand» della storica organizzazione criminale capeggiata da Tonino Capriati, suo zio. Il ruolo di Filippo Capriati come organizzatore del clan è scritto nero su bianco in una sentenza ormai definitiva sul controllo mafioso del porto di Bari, che nell’aprile 2018 portò all’arresto di 17 persone, compreso Filippo. «Il dato incontrovertibile – diceva la Corte di Appello di Bari – è che Filippo sia riuscito a continuare ad esercitare, attraverso i propri affiliati (talvolta congiunti), un controllo sui movimenti dei mezzi, merci e persone, all’interno dell’area portuale, fatto di indubbio rilievo per gli interessi del clan, attesa la evidente importante strategica del sito controllato. Tale importanza era stata colta già da parecchi anni, e dallo stesso Filippo in qualità di membro, però, della famiglia e dello storico clan dello zio».
Diventato poi «promotore del nuovo sodalizio» dopo la scarcerazione nel 2014 a seguito di una lunga detenzione, «aveva posto le basi per il controllo sui movimenti all’interno dell’area portuale, tramite persone a lui fedeli». Il porto, hanno ricostruito le indagini della squadra mobile coordinate dal pm della Dda di Bari Fabio Buquicchio, «costituiva una base logistica del clan, un’area in cui i suoi adepti potevano muoversi, incontrarsi, occultare beni (anche illeciti), apprendere informazioni in merito a merci in arrivo, e così via». Nel processo è stato riconosciuto il risarcimento danni alla Cooperativa Ariete (che gestiva i servizi nel porto e di cui alcuni imputati erano dipendenti) e alla Autorità portuale.
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del difensore del boss, l’avvocato Gaetano Sassanelli, ha però annullato con rinvio la condanna a 20 anni di reclusione per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga. Si tratta del reato che, tra quelli contestati (compreso quello di capo dell’associazione mafiosa) prevede le pene più elevate e Filippo Capriati è l’unico a non aver rinunciato ai motivi di appello arrivando fino in Cassazione per ottenere il riconoscimento della sua non colpevolezza almeno sulla gestione del traffico di droga. E i giudici – anche se ancora non si conoscono le motivazioni – gli hanno dato ragione, disponendo che questa parte del processo torni davanti ai giudici di Bari per un appello bis.
Anche per altri cinque imputati la Suprema Corte ha annullato con rinvio le sentenze di condanna, mentre con il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità degli ulteriori undici ricorsi, quelle condanne diventano definitive. Tra questi c’è il fratello di Filippo, 49 anni, anche lui ai vertici del clan (condannato con sentenza passata in giudicato a 10 anni e 8 mesi di reclusione).