Adescate e schiavizzate in Puglia, 20 indagati nell’operazione “Lover Boys”. Il leader dei criminali era “Il Principe”

Ingannate sui social con la promessa di una vita di lusso, poi segregate e costrette a prostituirsi. Sgominata organizzazione malavitosa fonte: immediato.net

Alle prime luci dell’alba di ieri, a Bari ed in altri Comuni della Puglia, la Polizia di Stato di Bari ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dalla Sezione gip presso il Tribunale di Bari, su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia, nella quale vengono riconosciuti gravi indizi di colpevolezza (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa) a carico di 20 persone, indagate del reato di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione – unitamente al compimento di altri delitti contro la persona – ai danni di giovani donne provenienti dalla Romania.

Le indagini hanno preso spunto dalle denunce presentate da alcune vittime nella seconda metà del 2017 ed hanno consentito di delineare gravi indizi dell’esistenza di un’associazione criminale composta da cittadini rumeni, sostenuti, all’occorrenza, da persone gravitanti nell’ambito della delinquenza locale, che avrebbe realizzato un articolato sistema di sfruttamento della prostituzione, secondo uno schema delittuoso noto in ambito europeo con l’espressione Lover Boys.

Nello specifico, si tratta di un sistema attraverso il quale giovani ragazze, dal fragile profilo emotivo e psicologico, prevalentemente per ragioni di tipo familiare, vengono dapprima adescate e poi soggiogate, fino ad essere ridotte in uno stato di vera e propria schiavitù.

Secondo l’impostazione accusatoria, da verificare nelle successive fasi del procedimento, alcuni degli indagati avrebbero svolto proprio il ruolo di “Lover Boys”, adescando le vittime nel Paese di origine, talvolta utilizzando i social network ed altre fonti aperte per mostrare alle vittime il proprio elevato tenore di vita, alimentando l’illusione di una vita migliore lontano dal proprio Paese.

Una volta stabilito il contatto, gli indagati avrebbero sfruttato la condizione di particolare fragilità delle donne per vincolarle emotivamente a sé e poi, manipolandone i sentimenti, le avrebbero sottoposte a vessazioni via via crescenti, spacciate per “prove d’amore”, spingendole a raggiungerli in Italia, fino ad esercitare il totale controllo psicologico sulle vittime ed avviarle alla prostituzione, gestendone per intero i proventi.

L’associazione si sarebbe avvalsa del contributo di alcuni cittadini italiani, che avrebbero fornito – di concerto con gli altri membri del gruppo – assistenza logistica ed operativa, accompagnando le donne sui luoghi deputati alla prostituzione ed assicurando loro un alloggio da cui, però, non avrebbero avuto alcuna possibilità di allontanarsi.

Non è mancato il supporto di alcune donne, compagne dei membri dell’associazione, le quali avrebbero contribuito a segregare e sorvegliare le vittime. Secondo l’impostazione accusatoria (allo stato accolta dal gip), sono stati contestati agli indagati 37 capi d’imputazione, tutti relativi a delitti commessi per mantenere e consolidare lo schema delittuoso, finalizzato allo sfruttamento della prostituzione.

Lo stato di soggezione psicologica in cui sarebbero state indotte le vittime sarebbe sfociato, in alcuni casi, in vera e propria riduzione in schiavitù, con il controllo delle comunicazioni effettuate attraverso cellulari e social network e con l’impedimento ad allontanarsi dai luoghi in cui erano costrette a vivere.

Nel mese di marzo del 2017, una delle giovani vittime fu travolta da un’auto mentre era in strada, da sola, subito dopo aver tentato di sottrarsi allo sfruttamento, riportando una grave frattura alla gamba sinistra. Le attività d’indagine hanno consentito di accertare che tale aggressione, concretizzatasi in un vero e proprio tentato omicidio, sarebbe stata effettuata su iniziativa del leader del gruppo criminale, conosciuto dalle vittime con il soprannome “il Principe”.

Il flusso di denaro generato ammonterebbe, secondo le prime stime, a circa 3 milioni di euro annui. Sono in corso perquisizioni finalizzate all’individuazione ed al sequestro dei proventi delittuosi. Dei 20 indagati, 12 sono stati condotti in carcere e 5 sottoposti agli arresti domiciliari, a disposizione dell’autorità giudiziaria, la quale valuterà, nel contraddittorio con la difesa, gli elementi di prova raccolti a loro carico.

Con il supporto del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia, proseguono le ricerche di altri tre membri dell’associazione, allo stato irreperibili sul Territorio Nazionale. È importante ribadire che gli accertamenti sono nella fase delle indagini preliminari, in attesa di essere sottoposti al vaglio giurisdizionale nel contraddittorio delle parti.

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