Vendola sentito sull’Ilva respinge tutte le accuse: «Difeso posti di lavoro»

di Mimmo Mazza – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Oltre sei ore nel comando provinciale della Guardia di Finanza per chiarire, spiegare, illustrare e protestare la sua innocenza, rivendicare l’assenza di contatti pericolosi con la famiglia Riva e dunque dimostrare l’insussistenza dell’accusa di concussione per aver costretto il direttore generale dell’Arpa Giorgio Assennato ad allentare i controlli sull’Ilva.

Accompagnato dall’avvocato di fiducia Vincenzo Muscatiello, il governatore Nichi Vendola ieri pomeriggio ha affrontato, su sua richiesta, il procuratore capo Franco Sebastio, l’aggiunto Pietro Argentino, i sostituti Remo Epifani e Giovanna Cannarile, titolari dell’inchiesta denominata Ambiente Svenduto, conclusasi lo scorso 30 ottobre con la firma di 53 avvisi di garanzia, uno dei quali riguardante appunto proprio Vendola.

Vendola è accusato di concussione in concorso con l’ex pr Ilva Girolamo Archinà, l’avvocato dell’azienda Franco Perli, l’ex direttore dello stabilimento siderurgico Luigi Capogrosso e il vicepresidente di Riva Fire Fabio Riva, proprio ai danni del direttore generale dell’Arpa Giorgio Assennato. Vendola avrebbe minacciato Assennato di non confermarlo nell’incarico (scaduto e poi rinnovato nel febbrario 2011) se non avesse ammorbidito la posizione dell’agenzia regionale di protezione ambientale nei confronti dell’Ilva. In particolare, Vendola, in un incontro svoltosi alla Regione il 22 giugno del 2010 alla presenza dell’allora capo di gabinetto Francesco Manna, degli assessori Fratoianni e Losappio, del dirigente Pellegrino e di Archinà, avrebbe prima criticato fortemente l’operato dell’Arpa, ribadendo il concetto il giorno dopo, convocando nel suo ufficio il direttore scientifico Massimo Blonda e poi tenendo addirittura fuori dalla sua porta Giorgio Assennato il 15 luglio sempre del 2010, mentre riceveva Fabio Riva, Archinà e Capogrosso.

Ma Vendola ieri ha detto, stando a quanto si è appreso, di ricordare bene le due riunioni dell’estate 2010 in cui secondo l’accusa avrebbe prima espresso dubbi sull’operato dell’Arpa e quindi fatto pressioni sul direttore generale dell’agenzia, Giorgio Assennato, affinché non assumesse provvedimenti troppo duri nei confronti dell’Ilva. « L’oggetto di quelle riunioni – avrebbe sostenuto il presidente – era la tutela dei posti di lavoro. Assennato è uno scienziato noto per la sua intransigenza, consulente delle procure in importanti procedimenti che io ho voluto alla guida dell’Arpa proprio per la sua grande competenza». L’accusa di concussione, ha sempre sostenuto Vendola, « se dimostrata sarebbe particolarmente infamante», ritenendo di aver operato nella direzione opposta: « Dal 2006 – è il pensiero di Vendola – abbiamo raddoppiato gli organici dell’Arpa a Taranto, abbiamo speso quasi mezzo milione di euro per acquistare lo spettrometro che ha consentito le indagini sulle diossine. Dal 1965 al 2006 non sono mai stati fatti monitoraggi in nessuno dei duecento camini dell’Ilva. E nella primavera 2008, quando abbiamo avuto i dati, abbiamo fatto l’unica legge antidiossina d’Italia». Diversi sarebbero stati i non ricordo del governatore ai rilievi della Procura. « Non ho – ha spiegato Vendola al termine dell’interrogatorio – sinceramente nulla di cui vergognarmi per quello che ho fatto per amore della città di Taranto».

Sempre ieri pomeriggio il sostituto procuratore Raffaele Graziano, in un’altra stanza della caserma della Finanza, ha invece ricevuto il direttore generale dell’Arpa Giorgio Assennato, assistito dall’avvocato Emanuela Sborgia. Assennato, indagato per favoreggiamento in quanto avrebbe taciuto le pressioni subite da Vendola nell’interrogatorio a cui oltre un anno fa è stato sottoposto dai finanzieri, ha depositato una memoria difensiva. Hanno, infine, rinunciato agli interrogatori il direttore scientifico dell’Arpa Massimo Blonda, anch’egli indagato per favoreggiamento, e il dirigente Ilva Marco Andelmi (difeso dall’avv. Raffaele Errico): entrambi hanno optato per una memoria difensiva. Spetterà ora alla Procura, sulla base degli interrogatori, decidere per quanti dei 53 indagati presentare la richiesta di rinvio a giudizio.

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