Spiagge in vendita, l’allarme di Legambiente: “In Puglia a rischio il 40 per cento del litorale”

di GIULIANO FOSCHINI – bari.repubblica.it 

Lido San Francesco o il Trullo per restare a Bari. I lidi della litoranea di Ponente a Barletta, Baia delle Zagare o Pugnochiuso sul Gargano. E ancora la zona di lido San Giovanni a Gallipoli, pezzi interi delle Dune di Porto Cesareo. È questo un pezzo di Puglia che potrebbe finire nelle mani dei privati – secondo una prima ricognizione effettuata dalle associazioni ambientaliste – se passasse la proposta bipartisan che prevede la messa in vendita di tutti quei pezzi di litorale sui quali insiste un manufatto privato. Sì, bipartisan: perché come ha denunciato ieri Legambiente nazionale, al Senato è stato depositato un emendamento del Partito democratico praticamente identico a quello del Pdl che tanto scalpore aveva destato nei giorni scorsi. Lo ha segnalato il direttore generale di Legambiente, Sebastiano Venneri, con un tweet nel pomeriggio di ieri. Tweet al quale ha prontamente risposto il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, in Puglia per la vicenda Ilva: “Credo si debba dire di no – ha spiegato – a prescindere da chi lo propone”.

Il ministro è dunque sulla stessa linea del governatore Nichi Vendola che sabato ha denunciato l’operazione spiegando che “la Puglia non si adeguerà mai a una legge del genere“. Proprio la Puglia si è dotata di un piano delle coste che almeno sulla carta dovrebbe tutelare la spiaggia pubblica, destinando alle concessioni (dove comunque deve essere garantito il passaggio) il 40 per cento dell’intera costa. Un computo però abbastanza fittizio visto che non si calcolano i chilometri realmente fruibili ma quelli effettivi. A questo dovevano pensarci i Comuni con i singoli piani delle coste che nella maggior parte dei casi non sono però ancora partiti. La Puglia oggi, su 970 chilometri di litorale, ha rilasciato 1.081 concessioni con una media di 1,11 concessioni al chilometro, per un’area complessiva privatizzata di tre milioni di metri quadrati. Secondo un calcolo approssimativo effettuato dalle associazione ambientaliste, almeno il 40 per cento delle aree in concessione andrebbero via visto che insistono appunto immobili.

Il problema ora è però capire che farà il parlamento. “La vendita delle spiagge non è oggetto di nessuna mediazione tra la maggioranza, anche perché ricorda l’affare tentato da Totò con la vendita di fontana di Trevi, oppure, per stare alla più recente cronaca parlamentare, la proposta della lega di vendere le Dolomiti“, dice Francesco Boccia, presidente della commissione bilancio di Montecitorio. Poco più lontano, a palazzo Madama, i suoi compagni di partito (compreso il senatore, Salvatore Tomaselli) proponevano però un emendamento che andava esattamente nella stessa direzione. Dov’è l’inghippo? “Il tema – dice Boccia – è quello delle concessioni: lo Stato può ottenere utili maggiori e appropriati, visto che concede l’uso di uno dei patrimoni più preziosi della collettività come sono le spiagge italiane e i concessionari devono essere messi nella condizione di avere tempi più lunghi e certi, adeguati agli investimenti che devono affrontare. Invece di perdere tempo, dobbiamo lavorare per aprire questo dossier”.

Un punto che starebbe anche bene a Legambiente, dice Sebastiano Venneri. “La norma europea si applicherebbe con grande difficoltà in Italia, questo bisogna ammetterlo – spiega – Da noi il lavoro sulle spiagge non è occasionale, quindi non si può pensare di rinnovare le concessioni ogni due o tre anni. Però è lo Stato che deve sempre avere il coltello dalla parte del manico, altrimenti andiamo incontro alla cementificazione della costa“. In questo senso il dirigente nazionale di Legambiente plaude alle iniziative legislative che proprio in Puglia si sono ripetute in questi anni. “Il modello da seguire è quello: sì alle concessioni, garantire gli accessi pubblici e soprattutto vigilare con norme rigidissime, come appunto il ritiro della concessione, che sulla spiaggia vengano realizzate soltanto opere amovibili a bassissimo impatto. I risultati di anni e anni di deregulation sono purtroppo sotto gli occhi di tutti“.

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