Non uno, non due, ma almeno quattro errori umani hanno causato la tragedia dei treni di Corato. Una coincidenza fatale, statisticamente quasi impossibile. Eppure evitabile: sarebbero bastati poco meno di due milioni di euro per salvare, probabilmente, la vita a 23 persone. Tanto sarebbe costato, infatti, installare su quel tratto di rotaia un sistema automatizzato di blocco treno. La strage delle Ferrovie Bari Nord non è avvenuta per caso. Questo pezzo di rotaia, diventata cimitero, è infatti il solo binario unico in Italia a funzionare senza quel meccanismo di controllo. Questo grazie a una deroga firmata dall’Utif, la struttura periferica del ministero delle Infrastrutture e trasporti, finita ora sotto inchiesta.

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La ricostruzione. Per capire cosa è accaduto è opportuno ripartire dai fatti sin ora accertati. I due treni che si scontrano sono l’ET1016, che parte da Corato ed è diretto ad Andria. E l’ET 1021 che da Andria va a Corato. La collisione avviene esattamente alle 11.06, più o meno a metà del percorso. La tratta, lunga 15 chilometri, a cose normali ha un tempo di percorrenza di circa dieci minuti. Quel martedì – hanno accertato gli investigatori della Polfer – era stata una mattinata “movimentata”. Si erano accumulati ritardi dei treni in transito. Il 1016 si muove da Corato con poco più di dieci minuti di ritardo rispetto all’orario di partenza, previsto alle 10.48 come recita il cartellone estivo. Circa cinque minuti dopo aver lasciato la stazione di Corato, si trova sul binario l’ET1021 partito da Andria. E che, invece, avrebbe dovuto aspettarlo in stazione come ogni mattina. Perché si è mosso?

Le colpe di Andria. In questa lunga catena di “errori umani”, lo sbaglio più grave – stando a quanto fin qui ricostruito dagli investigatori – lo commette il capostazione di Andria, Vito Piccarreta. È lui che fa partire l’ET1021 nonostante il binario sia ancora occupato dal treno che sta arrivando da Corato. Come fa a sbagliare? L’accumulo dei ritardi potrebbe avergli giocato un brutto scherzo. Il treno precedente (ET1642) sarebbe dovuto arrivare ad Andria alle 10,37 e invece giunge alle 11,01 all’incirca, esattamente quando sarebbe stato previsto l’arrivo del treno successivo. Piccarreta è possibile quindi che scambi i due treni. Vede davanti a sé l’ET 1642 e scrive, nel fonogramma che invia al collega di Corato, la sigla ET1016. Il sistema del blocco telefonico su binario unico, basato sullo scambio di fonogrammi, prevede che prima di dare il via a un convoglio, il capostazione ottenga l’autorizzazione dalla stazione dove il convoglio dovrà arrivare. Non ci possono mai essere due treni sullo stesso tratto, nemmeno se vanno nella stessa direzione. E’ la regola base per evitare disastrosi incidenti, o tamponamenti.

Due treni in fila. Secondo i primi rilievi compiuti dalla Ferrotramviaria, proprietaria degli scali e dei treni, anche Alessio Porcelli, il capostazione di Corato, potrebbe aver compiuto una grave leggerezza. La seconda. Risulta infatti che da Corato il treno ET1016, quello del disastro, sia partito quando ancora il precedente non aveva raggiunto Andria. Non c’era stato il segnale “di giunto”, come viene definito in gergo il fonogramma di arrivo treno. Non solo. Secondo i magistrati, da Corato avrebbero potuto capire che c’era qualcosa che non andava con il fonogramma inviato da Vito Piccarreta, perché non era possibile, tempistica alla mano, che il secondo treno fosse già arrivato ad Andria: il tempo di percorrenza minimo, come detto, è di dieci minuti, ne erano passati cinque al massimo. Qui il terzo errore: nessuno si accorge dell’incongruenza. I due treni procedono spediti verso lo scontro.

Il personale di bordo. I due capistazione dunque sbagliano, o almeno così sembra. Ma ci sono altre due persone che potevano accorgersi di quanto stava per accadere e fermare tutto: il capotreno e il macchinista della vettura che da Andria si muove per Corato. A bordo avevano infatti il libretto di viaggio con tutte le istruzioni: era specificato “l’incrocio”. Alla stazione dovevano avere i due treni provenienti da Corato prima di partire. Si tratta di un doppio controllo visivo che, secondo le procedure, avrebbero dovuto rendere quello che è accaduto impossibile. Seppur, anche questo, affidato alla fallibilità dell’uomo.

La strage da evitare. Ma davvero non si poteva evitare questa lunga catena di errori? Le prime indagini offrono una risposta impietosa, come ha lasciato intendere il procuratore di Trani Francesco Giannella. “Parlare di errore umano è riduttivo” ha detto. Dalle indagini emerge che sarebbe bastato un investimento da poco meno di due milioni di euro per salvare quelle vite. L’incidente di Corato non è figlio infatti del binario unico. Ma dal fatto che questo tratto ferroviario (esattamente quello che va tra Andria e Corato) sia il solo binario unico in Italia senza alcun sistema di controllo automatizzato. Una situazione simile esiste soltanto in Salento, nella zona di Gallipoli, zona di competenza delle Ferrovie sud Est, ma lungo quella tratta è in servizio un’unica vettura. Dunque, non c’è pericolo di incidenti. Eppure sarebbe bastato così poco: un banale sistema meccanico che, con semafori lungo la tratta, avvisa il macchinista se in quel tratto di linea entra un treno che non doveva esserci, costa 130mila euro al chilometro. C’è ovunque. Nei chilometri precedenti a quelli della strage e in quelli successivi. Tra Andria e Corato invece no. E nonostante questo buco nella sicurezza, i treni circolavano regolarmente. Questo perché l’Ustif, la struttura periferica del ministero al centro che si occupa di tutti i trasporti pubblici a linea fissa, aveva concesso una deroga rispetto a una direttiva europea (la 122 del 2015) che imponeva appunto sistemi di controllo automatici a dicembre del 2017. Chi ha firmato quella deroga? Chi l’ha autorizzata? E perché lo ha fatto?

Gli investimenti mai realizzati. Si è trattato di un investimento al ribasso. Investire sull’automatizzazione di quel binario era infatti antieconomico. A ottobre del 2015, secondo il crono-programma iniziale, la Corato-Andria doveva avere il doppio binario, la cui sicurezza era garantita da un sistema di controllo (Scmt) di ultimissima generazione. I 33 milioni e 427mila euro erano pronti da tempo: dopo quattro anni di lungaggini burocratiche dovute ai ritardi dell’Unione europea, i fondi erano stati sbloccati, il progetto era pronto. L’opera doveva essere già ultimata. L’appalto, invece, non è stato nemmeno aggiudicato.