Sacra corona unita, a Lecce colpo ai vertici del clan Caracciolo Montenegro: 14 arresti

fonte: bari.repubblica.it

Oltre 80 militari del comando provinciale di Lecce, in collaborazione con il Servizio centrale investigazione criminalità organizzata di Roma della Guardia di finanza, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, impegnati in una vasta operazione antimafia nel Salento contro la Sacra Corona Unita per eseguire 14 ordinanze di custodia cautelare.

Lecce, droga e armi nelle ville della Sacra corona unita: arrestati i vertici di un clan

I militari hanno dato il via all’esecuzione dei provvedimenti richiesti dai magistrati della Dda ed emessi dal gip del locale Tribunale a carico di 14 persone, vertici ed esponenti di spicco del clan ‘Caracciolo-Montenegro’, egemone nei territori di Monteroni, Leverano, Copertino, Porto Cesareo (Lecce) e nel sud Salento.

Sono 41 le persone complessivamente denunciate dal Gico di Lecce nel corso dell’operazione, che è stata denominata ‘Battleship’, quattro quelle arrestate in flagranza di reato per traffico di stupefacenti. I reati contestati ai componenti dell’organizzazione mafiosa sono quelli di associazione di tipo mafioso, associazione a delinquere finalizzata alla produzione e al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, estorsione, rapina, furto e minaccia aggravata con l’uso delle armi.

Le indagini, durate quasi due anni, hanno ricostruito l’operatività criminale del gruppo facente capo ad Alessandro Caracciolo (detto ‘Frasola’) e alla moglie Maria Montenegro (entrambi di Monteroni), inizialmente affiliati al famigerato clan ‘Tornese’ dal quale, poi, si sono gradualmente svincolati, e con cui era poi maturata una crescente conflittualità per assicurarsi il controllo del territorio.

Il clan aveva messo in piedi un’associazione a delinquere di “stampo mafioso” – come affermato nel provvedimento emesso dal gip, dotata di una struttura gerarchica e ramificata, che ha consentito alla famiglia di Monteroni di assumere il controllo totale delle attività delinquenziali nell’ambito del territorio di propria influenza, riscuotendo il cosiddetto ‘punto’ sugli introiti delle attività criminali. Si tratta di una percentuale su tutte le attività delittuose di rilievo, in misura non inferiore al 20 per cento.

Il gruppo criminale imponeva, tra l’altro, servizi di guardiania in occasione di pubblici spettacoli, commetteva estorsioni e furti, e usava minacce e violenze per raggiungere i propri obiettivi. Parte degli introiti erano destinati al sostentamento degli affiliati detenuti e dei loro familiari. La prova del marcato e ampio consenso sociale sul territorio – evidenziano gli inquirenti – è dato dalle ripetute richieste rivolte ai vertici dell’organizzazione per dirimere le più disparate controversie private, o per tornare in possesso di beni o merci precedentemente rubati.

L’operazione ha dimostrato ancora una volta – sottolineano gli investigatori – il decisivo ruolo chiave delle donne del clan, tra cui quello di Maria Montenegro elevata al rango di capo subalterno del sodalizio criminale, non solo in grado di impartire ordini e dirigere le operazioni, ma anche di essere protagoniste di minacce e intimidazioni.

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