Riciclaggio, gli uomini dei boss dentro l’azienda delle carni nel Barese: su 938 lavoratori, 447 avevano precedenti

Nelle carte dell’inchiesta Levante il caso della Siciliani Carni di Palo del Colle. I dipendenti erano assunti tramite varie cooperative. Nove risultano affiliati al clan Parisi. Secondo la Dda attraverso la macellazione venivano riciclati milioni – fonte: Chiara Spagnolo -bari.repubblica.it
 
« Tu non ti preoccupare, pure se stai là senza fare niente ti arriva sempre la busta paga… »: con queste parole un boss barese già molti anni fa rassicurava un suo affiliato che era stato assunto come disossatore di carne in una ditta che lavorava all’interno dello stabilimento Siciliani Carni a Palo del Colle. Laddove — negli anni fra il 2003 e il 2018 — su 938 lavoratori assunti tramite varie cooperative, 447 erano gravati da precedenti di polizia. Di questi, 73 erano stati arrestati, 206 denunciati per reati gravi, 80 condannati e nove addirittura direttamente affiliati al clan Parisi di Japigia. Fra loro anche Romeo Risoli e Saverio Bellino, registi delle assunzioni pilotate e delle operazioni con cui si fornivano ai pregiudicati ingaggi per eludere le misure di prevenzione patrimoniale e le esecuzioni di pena. I particolari della loro attività sono emersi nell’ambito dell’inchiesta Levante, che il 15 febbraio ha fatto finire 14 persone in carcere, 45 ai domiciliari, 14 con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e portato all’interdizione di due avvocati.
 
Dalla carne ai milioni
Stando a quanto ricostruito dalla Dda — al termine delle indagini della Dia e della Guardia di finanza — il settore della macellazione e commercializzazione delle carni era diventato l’albero della cuccagna per boss e imprenditori senza scrupoli. Da lì passavano i milioni da riciclare tramite ditte compiacenti, lì venivano parcheggiati i pregiudicati, lì i lavoratori venivano assunti o licenziati in base a delle logiche che rispondevano ad una progettualità superiore, il cui unico scopo era ripulire denaro sporco. In tale contesto — spiega l’ordinanza di custodia cautelare della gip Antonella Cafagna — « il management della Siciliani era completamente assoggettato » e il patron Carlo Siciliani (che non è indagato) «pienamente consapevole di chi fossero i soggetti assunti » . A infiltrare la Siciliani con un sistema di illegalità diffusa, secondo le indagini sarebbe stato Francesco Giordano (presunto capo del sodalizio, arrestato), che dagli anni Novanta era inserito in importanti consorzi di macellai da Torino a Milano e poi si era fatto strada nella sua Puglia prima con la Euroservice poi con altre aziende costituite ad arte: « Almeno sei erano quelle riconducibili a Giordano che hanno lavorato nello stabilimento a Palo». «D’intesa con il management della Siciliani adottava il sistema della diversificazione aziendale — scrive la gip — le cooperative che operavano nell’opificio venivano avviate e anemizzate con la liquidazione o il fallimento, causando una mutazione genetica delle aziende».
 
Gli uomini del boss
Emanuele Sicolo, Luigi Spinelli, Antonio Zefferino, Romeo Risoli vengono indicati come personaggi vicini al clan Parisi che operavano le cosiddette “estorsioni ambientali”, ovvero l’imposizione dei loro uomini nello stabilimento. «A Risoli te lo devi prendere lo sai, te lo devi abbracciare», diceva in una conversazione intercettata Giordano a Paolo Lapalombella, amministratore di diverse società che hanno operato nell’ambito della Siciliani. « Del resto ce ne stanno tanti là che stanno solo a pernottare», incalzava Sicolo qualche giorno dopo, intendendo che già era pieno di pregiudicati che lavoravano solo formalmente. Alla fine Lapalombella si era arreso. E dopo aver cercato inutilmente di licenziare Risoli, aveva assunto pure Sicolo ( anche lui in carcere, già coinvolto in diverse inchieste e sequestri) per aiutarlo a ottenere la revoca degli arresti domiciliari. Risoli, da parte sua, era riuscito a far assumere in azienda anche la figlia, due nipoti, il fratello e la cognata.
Le testimonianze
Che dietro la Siciliani Carni ci fosse la mano del clan lo hanno detto diversi collaboratori di giustizia, a partire dai fratelli Massimo e Piero Margariti, ma anche un uomo che nello stabilimento aveva avuto un ruolo gestionale importante. «Lavoravo alla Euroservice e sono sceso diverse volte a Bari per verificare l’operatività del cantiere della Siciliana. Ho constatato l’anomala operatività del personale: alcuni erano improduttivi, giacché non lavoravano come avrebbero dovuto, mentre altri non lavoravano affatto senza alcuna giustificazione. Ho preso provvedimenti drastici, ma Giordano e Lapalombella mi consigliarono di rivedere i miei metodi di gestione ». E anche sulle assunzioni gli dissero di non fare troppe domande. Del resto, la filosofia dei gestori delle ditte era chiara e sintetizzata da Lapalombella: « I pregiudicati non sono mica brutte persone. Qui dentro vengono a lavorare, che fanno fuori non mi interessa».

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