«Nella mafia foggiana sono riscontrate forme di emulazione dei comportamenti ‘ndranghetisti: analoghi rituali di affiliazione, ripartizione dei ruoli, qualifiche e gerarchie definite con il gergo tipico della criminalità calabrese. Tuttavia, l’efferatezza con la quale la criminalità organizzata dauna continua a manifestarsi costituisce, ad oggi, il netto discrimine con la ‘ndrangheta, che sembra invece preferire una presenza silente sul territorio, evitando azioni eclatanti». È uno dei passaggi della relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia relativa alle mafie pugliesi nel periodo luglio-dicembre 2018.
«Il diffuso e sistematico rinvenimento di armi in tutta la regione, parallelamente agli svariati, gravi fatti di sangue, – si legge nella relazione – fornisce ampia conferma del potenziale militare delle cosche pugliesi, che non si fanno scrupolo di sparare in pieno giorno nei centri cittadini e mietere vittime anche tra persone che nulla hanno a che fare con le dinamiche criminali locali». Oltre ai tradizionali traffici di droga, armi e rifiuti, la Dia evidenzia che in Puglia «tra le forme d’infiltrazione criminale nel comparto agroalimentare, si registra ancora la piaga del caporalato», ritenendo che «la problematica è alimentata da parte dell’economia locale che non esita a sfruttare manodopera clandestina a basso costo, cosa che impone una riflessione sulla necessità di ripristinare una filiera etica di certificazione del lavoro».
A differenza della mafia foggiana, i clan del barese “appaiono sempre più interessati all’infiltrazione dell’imprenditoria legale, – spiegano gli investigatori della Dia – specie quella connessa al settore degli appalti pubblici, all’edilizia e al commercio», mentre nelle province di Brindisi e Lecce si «conferma la perseverante attività criminale dei capi storici della sacra corona unita, che anche dal carcere tendono a gestire le attività criminali realizzate nei rispettivi territori attraverso parenti e affiliati in libertà».