Processo rating Trani, ecco chi guadagnò 2,5 miliardi di euro speculando sul debito italiano

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C’è un nuovo “forte elemento indiziario” contro Standard & Poor’s nel processo per manipolazione del mercato in corso a Trani. È – secondo la procura – il pagamento di 2,5 miliardi di euro disposto “senza battere ciglio” dal Ministero dell’Economia italiano a Morgan Stanley dopo il declassamento del rating italiano (da A a BBB+) deciso “illegittimamente e dolosamente” da S&P nel 2011 “al solo fine di danneggiare l’Italia”. Il pagamento era previsto da una clausola del contratto di finanziamento tra il Mef e la banca d’affari americana. Cosa c’è di strano? Apparentemente nulla, se non un particolare che la Consob ha comunicato alla procura di Trani: Morgan Stanley è tra gli azionisti di Mc Graw Hill, il colosso che controlla Standard & Poor’s.

I nuovi particolari emergono dalle indagini integrative svolte dal pm Michele Ruggiero dopo la conclusione dell’inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio di S&P e di cinque tra manager e analisti dell’agenzia internazionale di rating: l’ex presidente mondiale Deven Sharma, il responsabile per l’Europa Yann Le Pallec, e i tre analisti senior del debito sovrano che firmarono i report sull’Italia, Eileen Zhang, Franklin Crawford Gill e Moritz Kraemer. Gli atti sono stati depositati al Tribunale dinanzi al quale il 5 marzo riprenderà con le eccezioni preliminari il processo a S&P al quale hanno chiesto di costituirsi parte civile le associazioni dei consumatori e partecipano come persone offese Bankitalia e Consob. Assente invece il Mef. “Adesso capiamo – ironizza Renato Brunetta (Fi) su Twitter – perchè Palazzo Chigi e Ministero dell’Economia non si sono costituiti parte civile”.

La tesi degli inquirenti tranesi che trapela dai nuovi atti è che, di fatto, qualcuno con il downgrade del debito italiano ha guadagnato 2,5 miliardi di euro. Dalle carte emerge che, a partire dagli anni Novanta, ci furono contratti di finanziamento tra il Mef e banche d’affari statunitensi nei quali c’erano clausole bilaterali nelle quali si diceva che in qualsiasi momento i contratti potevano essere chiusi e sarebbe stato liquidato l’attivo alla parte cui spettava. Con Morgan Stanley, invece, la clausola era unilaterale. Poteva essere esercitata – secondo l’accusa – solo dalla banca al verificarsi di due condizioni: il declassamento dell’Italia e se vi fosse stata un’esposizione elevata verso il nostro Paese (se la banca cioè avesse avuto in portafoglio molti titoli italiani).

Di fatto – ragionano gli inquirenti – appena viene declassata l’Italia nel settembre 2011, Morgan Stanley recede dal contratto e chiede al Mef la liquidazione dell’attivo in suo favore per circa tre miliardi di euro, ottenendone 500 mila in meno. Il Mef, pur sapendo che c’era un procedimento penale in corso a Trani che dubitava della legittimità della condotta delle agenzie di rating, paga “senza battere ciglio”.

Per il pm Ruggiero, il fatto che S&P è legata a livello azionario a Morgan Stanley, che la banca ci ha guadagnato 2,5 miliardi e che il Mef, pur potendo tergiversare nel pagamento non lo ha fatto, sono elementi che rafforzano la tesi del “dolo puro manipolativo” contestato alla società di rating. Agli atti – a quanto si apprende – c’è anche un particolare: quando il Mef liquidò nel 2011 i 2,5 miliardi a Morgan Stanley, ai vertici della banca Usa c’era Domenico Siniscalco, prima ex direttore generale del Tesoro e poi ministro dell’Economia italiano.

S&P: accuse senza fondamento

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