Palermo nella morsa del racket, 16 arresti. Il boss ordinò: “La bambina non deve andare al corteo per Falcone e Borsellino”

Blitz di polizia e carabinieri nel regno della vecchia mafia: il nuovo capomafia di Ciaculli, la periferia orientale della città, era il nipote di Michele Greco, il “Papa” di Cosa nostra. Le intercettazioni svelano cinquanta estorsioni a commercianti e imprenditori, nessuno ha denunciato. Maria Falcone: “Il lavoro che facciamo nelle scuole dà fastidio alla mafia” – fonte: Salvo Palazzolo – palermo.repubblica.it

Una bambina di 7 anni è diventata all’improvviso pericolosa per i nuovi padrini di Palermo. “Noi non ci immischiamo con Falcone e Borsellino”, urlò il boss Maurizio Di Fede alla madre della piccola, sua amica, quando seppe che la bambina si stava preparando con la classe per partecipare a una manifestazione in ricordo della strage di Capaci. “Non ti permettere – era infuriato Di Fede, mafioso del clan di Roccella, che negli ultimi tempi ha preso sempre più potere – Io mai gliel’ho mandato mio figlio a queste cose… vergogna”. Cosa nostra prova a rialzare la testa, nonostante arresti e processi che si susseguono a ripetizione. Stanotte, la procura distrettuale antimafia di Palermo ha fatto scattare un altro blitz, con 16 fermi nel regno della vecchia mafia, quella di Ciaculli, la periferia orientale di Palermo che un tempo era governata dal “Papa” Michele Greco.

I carabinieri del nucleo investigativo hanno arrestato suo nipote Giuseppe (il figlio di Salvatore detto il “senatore”, ha 63 anni) e due fedelissimi: era diventato Giuseppe Greco il nuovo padrino di Ciaculli. I poliziotti della sezione criminalità organizzata della squadra mobile hanno smantellato invece il piccolo esercito di mafiosi ed esattori del pizzo alle dipendenze del mandamento di Ciaculli, che è articolato in tre famiglie, Brancaccio, corso dei Mille e Roccella: l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli racconta che avevano sottomesso cinquanta fra commercianti e imprenditori, che hanno continuato a pagare il pizzo. Nessuno ha denunciato. I boss puntavano ad ampliare il giro d’affari dopo il rallentamento nella macchina delle estorsioni imposto dall’emergenza pandemia, hanno tante famiglie di carcerati da assistere. Maurizio Di Fede, il boss di Roccella che non voleva mandare i bambini del quartiere alla manifestazione per Falcone, era uno dei principali registi della riorganizzazione mafiosa. “Hanno imposto il pizzo pure durante durante il lockdown – dice il questore Leopoldo Laricchia – un quadro inquietante, nei quartieri di quella parte di città nessuno ha mai denunciato”.

Le intercettazioni

Questa storia risale al maggio di tre anni fa. “La bambina da un mese si prepara”, la madre provò a placare l’ira del mafioso. “Ma in fondo, è solo una cosa scolastica”. Di Fede non voleva sentire ragioni: “Noi qua non ci immischiamo con i carabinieri”. E ancora: “Noi non ci immischiamo con Falcone e Borsellino… queste vergogne sono”. La madre della piccola insisteva, la bambina teneva particolarmente ad andare con i compagnetti al giardino della Magione, alla Kalsa, per l’iniziativa organizzata dalla Fondazione Falcone. Di Fede sbottò: “Alla Magione, là sono nati a cresciuti, i cornuti là sono nati”.

Il mafioso era sempre più infastidito, tornò più volte a casa dei suoi amici, per accertarsi che la piccola non andasse. Era diventata ormai una questione d’onore. Un giorno si portò dietro il giornale, che annunciava la manifestazione: “Anniversario della strage di Capaci, oltre settantamila studenti pronti a invadere Palermo”, lesse a voce alta. Apriti cielo. “Là dove deve andare la bambina, la sbirra”. La madre prese le difese della piccola. E pure lei fu apostrofata come “sbirra”: “Se gli mandi la bambina sei una sbirra”. Il boss sentenziò: “Falcone, minchia che cosa inutile”. Se la prese pure con gli insegnanti della bambina: “Questa scuola l’ha tutta per i fatti suoi”.

“L’odio dei padrini per i giudici”

Sono intercettazioni importanti, che raccontano la mafia in diretta. Dice il prefetto Francesco Messina, il direttore centrale anticrimine della polizia: “Queste parole fanno emergere tutto l’odio verso i giudici simbolo della lotta a Cosa nostra. I mafiosi hanno fatto una scelta di vita, che portano avanti fino alla morte, non è possibile pensare che possano essere recuperati a un sentire diverso, tranne che non scelgano di collaborare con la giustizia. Queste intercettazioni ci ricordano altresì l’importanza delle attività sociali e culturali fatte con i giovani, per la diffusione di una nuova cultura della legalità”. Il direttore centrale anticrimine della polizia parla a Repubblica di una mafia che torna a un “controllo forte del territorio per approvvigionare le casse dell’organizzazione” e dell’importanza di “proseguire nell’opera di repressione, il cammino da fare è ancora tanto”.

Maria Falcone, la sorella del giudice assassinato a Capaci, rilancia: “Le gravissime parole pronunciate dal boss arrestato oggi sono la riprova dell’importanza del lavoro che facciamo nelle scuole, un lavoro che dà evidentemente fastidio alla mafia e che proprio per questo va portato avanti.  La mafia si combatte non solo con la repressione ma anche con una rivoluzione culturale e un’opera di educazione alla legalità in particolare delle giovani generazioni”.

L’asse con i clan americani

Con Giuseppe Greco i carabinieri hanno arrestato anche Giuseppe Giuliano detto “Folonari” e Ignazio Ingrassia detto “Boiacane”, entrambi con un passato importante in Cosa nostra. Ingrassia, consigliere di Greco, ha contatti con alcuni boss del clan Gambino di New York, ma anche con esponenti dell’ndrangheta. Puntava all’organizzazione di un grosso traffico internazionale di droga. “Se io riesco ad andare negli Stati Uniti – diceva, e non sospettava di essere intercettato – la mando io dalla Colombia, costa qualche 15000, 20000 al chilo… in America la prendo, a New York la prendono a 15000 al chilo, io li conosco quattro colombiani buoni e gli dico: vi fidate a farla arrivare là?”. Il tentativo di un drammatico ritorno al passato: “L’operazione, che abbiamo denominato Stirpe – dice il generale Arturo Guarino, il comandante prorvinciale dei carabinieri – dimostra ancora una volta l’arroccamento di Cosa nostra palermitana intorno ai propri schemi organizzativi e valoriali tradizionali: la struttura del mandamento e delle famiglie, le relazioni con gli Usa, le estorsioni per sostenere i carcerati, il vincolo della discendenza di sangue”.  Una mafia antica alla ricerca di nuovi affari e nuovi quadri dirigenti.

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Con Maurizio Di Fede, la polizia ha arrestato Giovanni Di Lisciandro, Stefano Nolano, Angelo Vitrano, Gaspare Sanseverino, Girolamo Celesia, Sebastiano Caccamo, Giuseppe Ciresi, Onofrio Claudio Palma, Rosario Montalbano, Filippo Marcello Tutino, Salvarore Gucciardi e Giuseppe Caserta.

 

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