OLTRE LA MEMORIA – Una certezza e una speranza*

fonte:  www.laltramolfetta.it –  di Sergio Magarelli

06/07/2018 – La mafia uccide solo d’estate? Probabilmente no, ma quell’estate del 1992 ce la portiamo tutti nella nostra memoria. Se non altro perché i rivoli di tanto sangue innocente hanno bagnato anche Molfetta, e perfino il sagrato di una chiesa. L’assassinio di Gianni Carnicella si colloca in ordine temporale nel mezzo di due grandi stragi, quella di Capaci del 23 maggio e quella di via D’Amelio del 19 luglio. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Gianni Carnicella sono diventati il simbolo di quella maledetta stagione storica per tutti i molfettesi che hanno vissuto una delle pagine più brutte della storia nazionale e locale di fine Novecento. Ma se gli attentati di Falcone e Borsellino hanno il sapore amaro di una acclarata quanto esecrabile negoziazione tra Stato e Mafia, l’eccidio del povero Sindaco democristiano ha la sua ultima radice verosimilmente nel malessere di una città apparentemente sana. Infatti, recentemente, è stata data una rilettura a quell’evento e agli stessi atti giudiziari, arrivando alla conclusione di poter ritenere lo stesso Gianni Carnicella vittima di mafia.
Quella del 7 luglio 1992 è una data funesta che non trova il suo riscontro oggettivo soltanto in un “permesso negato”, quello del Sindaco Carnicella nei confronti del suo omicida, ma è la risposta indiretta di una silente inquietudine della città amministrata da una certa politica probabilmente “distratta” di fronte al malessere sociale. In tutti questi anni abbiamo saputo apprezzare e, giustamente continuiamo a farlo, il messaggio profetico che l’allora vescovo don Tonino Bello ha rilanciato durante le esequie del Sindaco. Un testo forte, audace, che continua ad affascinarci perché, oltre a produrre una esegesi brillante dell’atto criminoso, è capace ancora oggi di toccare le corde della nostra sensibilità. Tuttavia, mentre a ogni anniversario si corre a rispolverarlo dalla vasta produzione letteraria del vescovo, diversamente, si è sempre fatto fatica a “rileggere” altri suoi moniti che si sono susseguiti durante l’intero episcopato. Dobbiamo risalire addirittura al 1987, cinque anni prima del delitto, per renderci conto della consapevolezza che il vescovo molfettese ha avuto sul malessere della città. Lo denuncia e lo dichiara apertamente agli intellettuali, accusandoli di tradimento: «State disertando la strada. Per scarnificare la storia di ieri, state abbandonando la cronaca di oggi che, senza di voi, è destinata a diventare solo cronaca nera. La città benestante, consapevole dei suoi mezzi ma cieca nei suoi fini, corre verso un degrado di felicità mai conosciuto finora». Don Tonino denuncia lo stato in cui versa la città di Molfetta, dipinge un quadro reale, concreto, anticipando nella descrizione situazioni che si ripresenteranno, appunto, cinque anni dopo con la morte di Gianni Carnicella: «Non posso chiudere gli occhi di fronte alle situazioni pesantissime di miseria, di disoccupazione, di violenza, di ingiustizia, di violazione dei diritti umani, di affossamento dei valori, di degenerazione della qualità della vita e di cento altri fenomeni patologici». E la politica? Dov’era l’impegno delle istituzioni in quegli anni? Don Tonino arriverà perfino a ribadire la sua analisi sulla città direttamente a Gianni Carnicella nel testo augurale al suo mandato: «Il momento che Molfetta attraversa è tra i più difficili. Sotto la calma apparente covano i fuochi del malessere, e alcuni segnali che ogni tanto escono in superficie sono piuttosto inquietanti. Ecco perché si sente il bisogno di una guida audace e prudente, che sappia dare speranza a tutti coloro che credono nella possibilità della pace, della giustizia, del dialogo». E Gianni Carnicella, nell’arco di appena cinque mesi di governo alla guida della città, è riuscito a trasmettere tutto il suo spessore di uomo retto e intransigente al servizio della città, così come si è manifestato nel suo primo discorso da Sindaco: «Al servizio della città io assicuro di dedicare me stesso (…) seguendo solo ed esclusivamente la legge, quella scritta e quella morale».
Cadendo sotto i colpi di quel fucile a canne mozze, e difendendo sino all’estremo la sua integrità di amministratore onesto, il povero Gianni Carnicella ha portato a termine anche l’augurio, che sa tanto di profezia, di don Tonino: «La città di Molfetta, quando avrai terminato il tuo mandato, possa esserti grata e provare il rammarico che troppo poco è durato il tuo servizio». Così è stato, troppo poco è durato il governo di Carnicella e lo stesso don Tonino apprendendo la triste notizia della morte di Gianni, ricordandosi quelle parole dirà: «Sono triste, Signore, nel constatare di aver profetato, senza saperlo, la breve durata della sua carica di primo cittadino». Il malessere della città è stato rilevato dal vescovo e ignorato dalle istituzioni. Quanta responsabilità indiretta di questo eccidio è attribuibile alla classe politica di allora? Quanta compiacenza c’è stata alla base dei molteplici rapporti adulterini tra gli amministratori e certi affaristi di turno? È stato poi il processo giudiziario a delineare in qualche modo la situazione ambigua in cui si era trascinata la gestione della cosa pubblica a Molfetta, proprio quella che il povero Carnicella si era adoperato sin da subito per combatterla e sostituirla con il ripristino della legalità e della trasparenza. Il “no” al concerto di Nino D’Angelo, per avvedute ragioni di ordine pubblico, non è stata l’unica negazione isolata del Sindaco. Nel frattempo si era impegnato con scelte coraggiose a intraprendere un nuovo percorso amministrativo. Per questo arrivò egli stesso a definirsi, in una intervista al nostro giornale qualche settimana prima di soccombere, uomo coraggioso: «Il coraggio ritengo che lo attesti il fatto stesso di essere alla guida di una città complessa». E poi: «Intendo difendere, ad oltranza, il prestigio sostanziale dell’Ente che ho l’onore di servire. È il mio modo di onorare la funzione che mi è stata affidata e la fiducia che in me è stata riposta». Perciò non si è fermato dinanzi a quel fucile a canne mozze caricato a pallettoni, perché ha deciso di difendere ad oltranza la sua dignità e quella di una intera città, perché ha onorato con fierezza il ruolo di primo cittadino. Di ciò ne è stato consapevole anche il vescovo, il Servo di Dio Tonino Bello, che dichiara nell’omelia dei funerali: «Resta la consolazione che a cadere sia stato un uomo onesto. Un amministratore coraggioso che stava dando chiari segnali di inversione di marcia su certe arroganze consolidate. Un servo della città, alle cui leggi non ha voluto disobbedire».
Come interpretare oggi, a distanza di venticinque anni (ventisei, n.d.a.), il sacrificio di Gianni Carnicella? Cosa è rimasto di quell’evento delittuoso che ha sconvolto la vita della nostra comunità cittadina? Cosa ha saputo insegnarci il Sindaco coraggioso e servitore delle istituzioni? Purtroppo, già soltanto pochi mesi dopo l’accaduto è ancora il vescovo a farci notare che «la morte di Carnicella sta subendo la sindrome di una rimozione collettiva, e non la si vuole ancora interpretare come la feritoia attraverso cui scorgere un malessere complessivo che va più in là del “raptus” di un criminale». Il criminale oggi ha già scontato il suo debito con la Giustizia, perché nel processo a suo carico è stato stabilito che non si è trattato di un omicidio premeditato e perciò niente ergastolo. Probabilmente all’ergastolo sono tuttora i familiari di Gianni Carnicella, prigionieri morali di così tanto dolore per una morte ingiusta e, addirittura, “inutile ed immotivata” così come definita e liquidata dalla sentenza. Nel frattempo il malessere complessivo della città ha partorito, qualche anno dopo la morte del sindaco, due grandi operazioni anticrimine. Quella definita “Primavera” del 22 aprile 1994, e quella denominata “Reset” nell’ottobre di due anni dopo. Anni tristi e bui per la nostra città, ma che il presule-profeta aveva intuito e annunciato ancora una volta durante l’omelia dei funerali del sindaco a riguardo del malessere cittadino: «Un malessere che si costruisce su impercettibili detriti di illegalità diffusa, sugli scarti umani relegati nelle periferie, sui frammenti di una sottocultura della prepotenza non sempre disorganica all’apparato ufficiale». E per concludere il vescovo affonda: «È il discorso sulla rete sommersa della piccola criminalità che germina all’ombra di un perbenismo di facciata. Sulle connivenze col mondo della droga che ormai non risparmia nessun gonfalone».
Questo è in sintesi lo scenario all’interno del quale si è consumata la tragedia di un uomo onesto, una persona perbene che non ha saputo piegarsi al ricatto di ogni genere. Un politico probabilmente lasciato solo nella sua lotta alla illegalità. È forse arrivato il momento, dopo venticinque anni, di andare oltre la memoria. Di superare ogni formalità che annida banalmente nei riti di commemorazione. Perché, per dirla per l’ennesima volta con le parole di don Tonino, «noi non vogliamo fare del nostro sindaco né un eroe né un martire. (…) Ma vogliamo farne un segno. Il segno stradale di una conversione comunitaria». Francamente facciamo fatica, a distanza di un quarto di secolo, a scorgere questa conversione comunitaria. Molti altri fatti di sangue e di cronaca hanno ancora macchiato la nostra Molfetta dopo la sua morte. Come, inoltre, facciamo fatica a individuare nella nostra classe politica esempi di uomini con lo stesso carisma di Gianni Carnicella, con la sua stessa passione di mettersi al servizio della città e dei cittadini, con la medesima integrità morale. Per questo e altri motivi sarebbe un tradimento alla sua dignità di uomo e di politico integerrimo limitarsi a contare gli anni, a celebrare gli anniversari, a innalzare steli e targhe commemorative e a non invertire la rotta seguendo il suo encomiabile esempio. Se abbiamo una certezza, ed è quella che la mano del suo assassino non potrà più fargli del male, dovremmo avere anche una speranza. La speranza di saperlo ancora vivo nelle nostre scelte coraggiose e nella voglia di costruire una città forte e libera dove la politica, come nel suo modello di vita e nell’invito don Tonino Bello, «deve essere sottratta alla lussuria del dominio, preservata dall’adulterio con i corrotti e restituita finalmente alla simpatia della gente».

* Contributo pubblicato sul periodico l’altra Molfetta, Luglio 2017, pagg. 16-17.

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