“Non andare a cercare l’estorsione lì, ti aspettano i carabinieri”: le soffiate per il clan a Bari. A Olivieri un amico diceva: “Occhio a parlare”

C’è anche la storia di un arresto annunciato al diretto interessato, negli atti dell’operazione che il 26 febbraio ha portato in carcere oltre un centinaio di affiliati ai clan Parisi e Palermiti, insieme a Giacomo Olivieri e alla moglie Maria Carmen Lorusso. A raccontare di come molti uomini dei clan avessero referenti tra le Forze di polizia sono stati i collaboratori di giustizia. Alcuni anche riferendo fatti che li riguardavano personalmente e che, proprio per questo, vengono ritenuti credibili dalla Dda – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

C’è anche la storia di un arresto annunciato al diretto interessato, negli atti dell’operazione che il 26 febbraio ha portato in carcere oltre un centinaio di affiliati ai clan Parisi e Palermiti, insieme ai racconti su numerose fughe di notizie in merito ad indagini che avrebbero dovuto restare riservatissime e invece non lo sono state. A raccontare di come molti uomini dei clan avessero referenti tra le Forze di polizia sono stati i collaboratori di giustizia. Alcuni anche riferendo fatti che li riguardavano personalmente e che, proprio per questo, vengono ritenuti credibili dalla Dda.

Uno degli episodi più circostanziati è stato messo a verbale da Donato Telegrafo, ex referente degli Strisciuglio sul quartiere San Paolo insieme al fratello Arcangelo, oggi pentito anche lui. Interrogato dal pm Fabio Buquicchio a novembre, Dino Telegrafo ha parlato a lungo di Angelo Falco, imprenditore 62enne del San Paolo detto Lello, che l’Antimafia considera «affiliato al clan Parisi». Falco è entrato nell’inchiesta recente perché nel luglio 2023 l’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri (anche lui finito in carcere il 26 febbraio) si presentò nella casa dove si trovava ai domiciliari per proporgli di rilevare un’azienda. In quella circostanza, l’uomo disse ad Olivieri di avere buone conoscenze tra i politici e anche tra le Forze dell’ordine.

Questa affermazione faceva il paio con quanto ha raccontato Telegrafo, che Falco lo conosceva molto bene perché «era molto amico di mio padre» e «quando lui è stato in carcere, Lello ha aiutato molto la mia famiglia». Anche il collaboratore ha evidenziato come Falco «appartenesse al clan di Japigia» e, a dimostrazione dei buoni rapporti con loro, riferì che in più di una circostanza avrebbe fatto da tramite tra il gruppo del San Paolo e Giovanni Palermiti «che arrivò nel quartiere a bordo della sua Lancia blindata».

Ma, soprattutto, Telegrafo ha spiegato come Falco fosse informato di imminenti azioni giudiziarie, che lo riguardavano direttamente: «Mi mandò a chiamare e mi disse “non andare più a cercare l’estorsione lì, perché tramite un amico che c’ho nei carabinieri mi hanno detto che ci sono i carabinieri lì dentro”».

Ovvero i carabinieri avevano ricevuto una denuncia da un imprenditore che aveva subito un’estorsione dai Telegrafo e quindi «si erano infiltrati nel cantiere» e Falco aveva quindi messo Donato in allerta. Entrando ancora più nello specifico, è stato riferito che l’informatore sarebbe stato un militare in servizio al San Paolo. E che, qualche giorno dopo, Falco lo mandò nuovamente a chiamare, chiedendogli di lasciare il telefono lontano e gli disse: «Vedi che a momenti ti devono arrestare. Come mandante dell’estorsione e per un 73 (traffico di droga ndr)». Venuto a conoscenza di tale informazione, Telegrafo lasciò la casa della madre e anche quella della convivente e si allontanò dal quartiere. Fino a che il 22 luglio 2020, «incrociai Lello Falco a bordo di una Panda nera e mi disse “proprio te stavo cercando. Vedi che ho avuto la conferma da un mio amico carabiniere, che per due volte non ti hanno firmato la custodia però oggi te la devono firmare per forza e sarai arrestato”». Cosa che era effettivamente avvenuta: «Alle due-tre del pomeriggio i carabinieri mi arrestarono».

Un’altra fuga di notizie, stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, si sarebbe verificata nell’autunno 2019, quando era imminente una operazione contro i clan di Japigia. Ad essere avvisato, quella volta, fu Giovanni Palermiti, che mandò un messaggio a Telegrafo su un telefono che lui stesso gli aveva consegnato: «Ma l’amico vi ha avvisato che stanotte devono fare il blitz?». E quella notte, come da previsione, furono effettuati degli arresti, ai quali sfuggì Giuseppe Signorile detto “il gommista”, che rimase latitante per due mesi.

L’inchiesta “Codice interno”, del resto, è piena di casi di possibili fughe di notizie, tanto che il nome del principale indagato, l’avvocato Giacomo Olivieri, fu iscritto nel registro degli indagati come Gaetano De Luca e così fu chiamato per anni negli atti giudiziari. Anche Olivieri, stando a quanto verificato, aveva amicizie che gli consentivano di sapere in anteprima notizie sulle indagini. Come l’uomo che, nella primavera 2019, lo avvisò: «Ne stanno parlando in Questura, te lo dico come un fratello Giacomo, occhio a parlare, guardati intorno. Quelli stanno a vedere i movimenti, se stai a fare movimenti bancari». Anche questo, a posteriori, è risultato vero.

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