‘Ndrangheta, nell’aula bunker di Lamezia Terme comincia il maxi processo Rinascita Scott

LAMEZIA TERME – Pattuglie schierate fin dal raccordo autostradale, controlli certosini, un’intera area blindata, ingressi contingentati, un elicottero che sorvola insistentemente la zona. Parte fra misure di sicurezza imponenti il processo Rinascita Scott, il primo maxi sulla ‘Ndrangheta vibonese, al via questa mattina nella nuova aula bunker di Lamezia Terme. 

Muri grigi, finestre dagli infissi rossi, fino a qualche mese fa era un ex call center in disuso. Oggi quel capannone da oltre 3.300 metri quadri ospita quella che il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, definisce non senza soddisfazione “una delle aule più moderne e attrezzate d’Italia”. Ed è l’unica in grado di ospitare il processo Rinascita Scott, scaturito da un blitz da oltre 300 arresti costato a Gratteri nuove e ancor più serie minacce di morte.

Prima in tutta la Calabria una struttura del genere non c’era. Meno che mai in quel pezzo di regione. Così come mai prima di Rinascita Scott c’era stata un’inchiesta capace di tenere insieme oltre dieci anni di storia criminale di una provincia che si è fatta conoscere per i killer che ha sfornato, per le faide che hanno coinvolto ragazzini, ma anche come feudo e casa dei Mancuso di Limbadi, uno dei clan più potenti della ‘Ndrangheta tutta.  Uno dei pochi – sette, secondo le più recenti acquisizioni della magistratura reggina, che all’individuazione della direzione strategica dei clan lavora da tempo – che hanno facoltà di decidere le macro-strategie per l’intera organizzazione, anche grazie ai legami con la politica e la massoneria.  

Oggi il capo assoluto della famiglia è Luigi, che di Rinascita Scott è fra i principali imputati. Era lui, dicono i magistrati, a gestire per il clan e tutta la galassia criminale che i Mancuso controllano i contatti con la politica, le istituzioni, la pubblica amministrazione, a decidere i grandi appalti e le grandi speculazioni, a saper attivare i canali necessari per aggiustare processi e addomesticare sentenze. Era lui a tenere in tasca l’ex senatore di Forza Italia poi passato a Fdi e noto avvocato penalista, Giancarlo Pittelli che del boss era il consigliere, consultato regolarmente – hanno rivelato le indagini – tanto sulle strategie economiche, come su quelle criminali.

Decisioni  che non coinvolgevano solo la famiglia Mancuso, ma tutta la composita galassia criminale che attorno al potente casato di ‘Ndrangheta di Limbadi si struttura. Per questo al centro dell’indagine sono finiti gli affari – criminali e non – di una ventina fra clan, famiglie e “‘ndrine” di tutto il Vibonese, di cui sono stati ricostruiti organigrammi, gerarchie e delitti, anche efferati.  Omicidi tanto datati da diventare cold case, estorsioni, traffici, affari, ma anche legami con la pubblica amministrazione, appalti telecomandati, politici, funzionari pubblici e persino uomini delle forze dell’ordine finiti a libro paga dei boss. Nelle decine di fascicoli di indagine è finito tutto questo. E il risultato già nei numeri è impressionante.  

Oltre 325 imputati  solo per il troncone con rito ordinario, cui si aggiungeranno probabilmente i quattro che hanno scelto il giudizio immediato, tutti presenti in aula o collegati in videoconferenza, più di 600 legali chiamati a rappresentarli e a difenderli dagli oltre 400 capi di imputazione che vengono loro contestati, quattro magistrati – il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, e i pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso – pronti a rappresentare l’accusa. 

“Era importante celebrare il processo in Calabria dove è avvenuta, dal nostro punto di vista, la commissione dei reati – dice prima dell’inizio dell’udienza i Gratteri -. È un segnale anche perché la gente deve e può capire, senza alibi per nessuno, che si può fidare di noi, che possiamo dare delle risposte”. Ecco perché – spiega – “fin dal giorno successivo agli arresti abbiamo cominciato a fare richieste al ministero per avere una struttura adeguata”.  

Ci sono voluti mesi per individuare il sito, poi i lavori sono iniziati e sono stati conclusi in fretta. E tutto è stato pensato perché anche la pandemia in corso non si trasformi in un ostacolo alla celebrazione del processo. “C’è il massimo della tecnologia disponibile – spiega Gratteri – c’è la possibilità di fare 150 video collegamenti in contemporanea e può contenere oltre mille persone a distanza di sicurezza contro il Covid”. Postazioni mediche all’ingresso, personale sanitario agli accessi, camici bianchi – fonendoscopio al collo e doppi guanti alle mani – che in aula si fanno notare fra il nero delle toghe, più o meno ordinatamente sparpagliate fra i banchi. 

Prima che l’udienza inizi, nella nuova aula bunker compare anche il presidente della commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra. È l’unico politico che lo abbia considerato importante o necessario. “Oggi le mafie agiscono in silenzio, spesso in rapporti con la massoneria deviata che chi in passato ha provato a contrastare – vedi De Magistris proprio in Calabria – ha pagato a caro prezzo. La mafia ha intesse a relazionarsi con il potere e per questo è sempre più forte e questo processo lo dimostra”.

fonte: i Alessia Candito – www.repubblica.it

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