Molfetta nell’Italia dei veleni

Piaghe misteriose, esami clinici che non si trovano: la puntata Tg2 Dossier dedicata all’inquinamento da residuati bellici andata in onda sabato

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di Lorenzo Pisani (www.molfettalive.it/…)

L’approfondimento giunge di sabato, a mezzanotte, quando metà Italia dorme e l’altra è per locali o insegue davanti alla tv gli attimi finali dei programmi cosiddetti “leggeri” che tanto piacciono al popolo del televoto.

Il viaggio nella terra dei veleni targato Tg2 Dossier ha partenza e arrivo sul mare, ma tocca colline e montagne. Un giro d’Italia che in palio dà solo maglie nere.

E il prologo è il porto di Molfetta. Qui i pescatori mostrano immagini di piaghe e ustioni, prezzo da pagare per arrivare a fine mese. La vicenda è nota ma non le sue cause, nonostante siano passati due anni. Cosa ha causato le ferite sulle loro mani?
«Chiara esposizione a iprite» racconta Vitantonio Tedesco riferendo la prima versione del medico specialista del Policlinico di Bari, cui si rivolge indirizzato dall’ospedale di Molfetta. Seguono degli esami. Tedesco e colleghi ne attendono ancora i risultati.

Il giornalista Donato Placido cerca di vederci chiaro e chiama il nosocomio barese. Gli viene detto che la cartella è stata recapitata all’Arpa, l’agenzia regionale per l’Ambiente. Lì intervista il suo direttore generale Giorgio Assennato, che invece tira di nuovo in ballo il Policlinico. Risultato del ping-pong: gli esami non si trovano.

L’iprite, il gas vescicante usato nella Grande Guerra e poi bandito, nell’uso ma non nella produzione, è il protagonista dello speciale andato in onda sabato 13 marzo su Raidue. Alla fine del secondo conflitto mondiale fu smaltito nel Mediterraneo. Oggi sembra essersi risvegliato dal sonno degli abissi.

Dagli anni ’50 a Molfetta 232 marinai sono stati colpiti durante il lavoro in mare da vari disturbi, cinque in modo letale. Perché in alcuni casi non ci sono referti medici con una diagnosi certa, domanda Placido? La città risponde con alcune testimonianze. L’avv. Francesco Armenio che sta seguendo il caso, Matteo D’Ingeo autore di numerosi studi storici sulla presenza di bombe “a caricamento speciale” sui nostri fondali, il comandante di un peschereccio che racconta un episodio sospetto. Alcune bagnanti che raccontano di disertare le nostre spiagge.

«Possiamo affermare che nei pesci che hanno vissuto con ragionevole certezza a contatto con l’iprite abbiamo riscontrato gravi lesioni epatiche, lesioni al tegumento, alterazioni anche a livello del sangue. Una serie di effetti che portano a conferma che questi prodotti sono persistenti e gli effetti che producono degli effetti traslati nel tempo. Danni genetici veri e propri». A parlare è Ezio Amato, il capo del servizio emergenze in mare dell'Ispra.

Cosa accade a chi mangia pesci contaminati dall’iprite? «In letteratura c’è un solo caso accertato, nel Mare del Nord, in cui il consumo di uova di merluzzo contaminate da iprite ha portato al ricovero, ma non a gravi conseguenze immediate. Ma le conseguenze più subdole sono a lungo termine».

Iprite, quindi. Non certo l’alga tossica che pur infesta da qualche anno le nostre coste, spesso imputata degli strani casi di intossicazione.

Gianluca di Feo, capo redattore dell’Espresso ai “veleni di stato” ha dedicato un volume, da poco in libreria per Rizzoli. C’è anche Molfetta con le sue bombe. È in compagnia di un bel pezzo d’Italia. Quella delle fabbriche chimiche e delle discariche abusive, dei fiumi contaminati.

E dei mari, con i loro carichi di navi “a perdere”. Anche qui Molfetta può dir la sua.

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