«Molfetta, Monopoli e Bari le più a rischio di eventi alluvionali”

Antonello Fiore, 52 anni, geologo barese, è dal 2016 presidente della Sigea, Società italiana di geologia ambientale (www.sigeaweb.it), un’associazione scientifica e culturale, senza fini di lucro, per la promozione del ruolo delle scienze della Terra nella protezione della salute e nella sicurezza dell’uomo, nella salvaguardia della qualità dell’ambiente naturale e antropizzato e nell’utilizzazione più responsabile del territorio e delle sue risorse.

Consumo del suolo e cambiamento climatico è un combinato infernale che ha una causa comune?

«L’accelerazione sull’alterazione delle dinamiche climatiche che si sta registrando da qualche decennio, di cui siamo testimoni anche in questi giorni, così come il continuo consumo di suolo, che amplifica gli effetti del cambiamento climatico, hanno una sola responsabilità: l’attività antropica. Il nostro agire nell’intento di trarre benessere e profitto sottovalutando le conseguenze di questo agire a lungo termine. Consumiamo 2 metri quadri di suolo ogni secondo del nostro tempo. A livello nazionale le colate di cemento e asfalto non hanno rallentato neanche nell’anno assopito dalla pandemia. Con quasi 60 chilometri quadrati nel 2020, abbiamo impermeabilizzato così oltre il 7% del territorio più che raddoppiando la superficie artificiale rispetto alla popolazione: un italiano oggi ha in “dote” circa 360 metri quadri di cemento mentre negli anni ’50 erano 160 metri quadri».

La provincia di Bari è fra quelle che ha rosicchiato più aree verdi. Quali sono le zone più a rischio?

«Tra i pericoli maggiori possiamo indicare il rischio alluvioni e allgamenti urbani. Per il rischio alluvioni le zone più sensibili sono quelle nei pressi delle lame con particolare riferimento alle aree costiere dove si è maggiormente urbanizzato.
Testimonianza della funzione torrentizia delle lame e di conseguenza della loro reale pericolosità manifestata dalla loro forza devastante sono le numerose alluvioni con vittime a partire dall’inizio del secolo scorso che hanno interessato direttamente anche Bari (1905, 1915, 1926, 2005). Analizzando i dati del Piano di gestione del rischio di alluvioni (Pgra), redatto con la finalità di costruire un quadro omogeneo per la valutazione e la gestione dei rischi da fenomeni alluvionali, emerge che il 2.90% del territorio provinciale è potenzialmente esposto a pericolosità di alluvione. La maggiore pericolosità è concentrata nelle zone costiere di Molfetta, Bari e Monopoli».

Bari ha raggiunto una percentuale di superficie antropizzata che supera il 40 per cento. C’è il modo di frenare questa tendenza? Come?

«La gestione del territorio deve necessariamente cambiare il proprio stile e andare verso un nuovo adattamento a quello che i cambiamenti climatici stanno determinando. Il cambiamento climatico molto spesso è utilizzato come alibi quando si verificano alluvioni e allagamenti, questo solo per giustificare le nostre precedenti scelte urbanistiche e le politiche scellerate. Bisogna ritornare a curare il territorio attraverso opere di manutenzione per ridare funzionalità agli interventi già realizzati creando più occupazione e meno opere strutturali. Bisogna lavorare per ridurre o azzerare il consumo di suolo agevolando la rigenerazione urbana anche attraverso la demolizione di vecchie opere e, se necessario, la ricostruzione di nuove con criteri diversi. Diciamo che alla base ci vuole coraggio politico e una visione lungimirante nell’interesse comune».

Domanda secca: siamo a un punto di non ritorno?

«Secondo i calcoli del gruppo di ricerca guidato dal professor Anthony Barnosky, pubblicati su Nature nel 2011 e successivamente aggiornati, negli ultimi cinque secoli le stime di estinzione vanno dal 22% per i mammiferi al 47-56% per gasteropodi e bivalvi, passando per cifre non meno drammatiche per anfibi e rettili (più del 30%). Le attività antropiche stanno danneggiando, con una velocità mai registrata nelle tracce fossili della Terra, la vita di un terzo di tutti gli altri esseri viventi. Questi dati sono preoccupanti. Sono passati 6 anni dal 2015 con scarsi risultati.

Perché prendo a riferimento il 2015? Per i tre eventi che in tema di tutela dell’ambiente lo hanno caratterizzato: l’enciclica di Papà Francesco “Laudato Si’” che offre notevoli spunti di riflessione sulla necessità di rispettare con consapevolezza le componenti ambientali, il summit dei capi di Stato sullo sviluppo sostenibile a New York e la conferenza di Parigi in cui è stato siglato l’accordo che individua azioni generali di mitigazione per evitare pericolosi cambiamenti climatici. Per quello che stiamo osservando in questi giorni, con anomalie nelle temperature con caldi e freddi eccezionali fuori stagione, incendi, piogge intense, alluvioni, non sembra che ci siamo incamminati sulla strada giusta.

Sembra che stiamo rinviando il problema in attesa del picco di adrenalina che ci fa prendere la decisione giusta. Con la natura non funziona così, i sui tempi di reazione e la sua inerzia climatica rischiano di travolgerci in un processo senza ritorno e che potrebbe modificare l’ambiente che oggi conosciamo così ospitale per la nostra vita».

fonte: G. Flavio Campanella – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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