Mazzette al capo della Protezione civile in Puglia, caccia ai complici: “Zone d’ombra in Regione”

Secondo la Procura non ci sarebbe solo Mario Lerario nel presunto sistema di corruzione che per anni avrebbe gestito appalti milionari della Regione Puglia, ci sarebbe anche una rete di complici e conniventi. Almeno tre i filoni investigativi aperti – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Non c’era soltanto Mario Lerario nel presunto sistema di corruzione che per anni avrebbe gestito appalti milionari della Regione Puglia, indirizzandoli verso quegli imprenditori capaci di pagare cospicue tangenti. C’è anche una rete di complici e conniventi del potente dirigente della Protezione civile regionale sui quali sono adesso puntati i riflettori degli investigatori, che stanno ricostruendo ruoli e responsabilità.

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Di nomi ce ne sono parecchi all’attenzione del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bari, che nei mesi scorsi hanno già acquisito i tabulati telefonici di pubblici ufficiali e imprenditori. Erano loro a piegarsi con serenità alla consuetudine di versare mazzette per ottenere appalti e certificazione, consapevoli che “così va il mondo”, come diceva in un’intercettazione la moglie di Donato Mottola, il titolare della Dmeco di Noci che durante la pandemia aveva realizzato strutture Covid a supporto degli ospedali e anche una parte dei servizi nel Cara a Borgo Mezzanone. Al marito, che il 22 dicembre le raccontava di aver dato a Lerario “la mazzetta e la manzetta” (20mila euro e un taglio di carne pregiata), la donna rispondeva “Tutti felici e contenti, va bene. Buon Natale e chisse so’ l’ove”, chiosando in dialetto nocese.

Le indagini incrociate

Non uno ma almeno tre filoni investigativi hanno per protagonista Mario Lerario e la pletora di imprenditori, funzionari della Regione, faccendieri, impiegati e perfino operai che potrebbero averlo aiutato a tenere in piedi quel vasto sistema di corruttele e asservimento della funzione pubblica agli interessi personali.

La prima indagine riguarda la realizzazione dell’ospedale Covid alla Fiera del Levane, per il quale era stata preventivato un costo di 8 milioni e alla fine ne sono stati spesi 17,5 grazie a cinque ordini di servizi aggiuntivi firmati proprio da Lerario. Nell’ambito di quell’inchiesta per turbativa d’asta e corruzione, il 24 dicembre sono state effettuate perquisizioni a carico del dirigente regionale; di quello che gli investigatori considerano il suo braccio destro, l’ingegnere Antonio Mercurio (progettista dell’ospedale); degli imprenditori Luca Leccese di Foggia, Donato Mottola di Noci, Antonio Illuzzi di Giovinazzo, Domenico Tancredi di Altamura, Francesco Girardi di Acquaviva e Sigismondo Zema di Bari. Quest’ultimo è stato anche il direttore della fabbrica di mascherine della Regione Puglia ed è considerato dagli inquirenti il punto di contatto fra alcuni imprenditori e diverse figure chiave della stessa Regione.

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Una seconda indagine riguarda l’acquisto di partite di dispositivi di protezione individuale nei momenti neri dell’emergenza Covid e poi la realizzazione della fabbrica pubblica. L’ultima, infine, è nata il 23 dicembre dopo che i finanzieri del colonnello Luca Cioffi hanno sorpreso (e filmato) Lerario mentre riceveva 10mila euro in una busta e un cesto natalizio da Luca Leccese. Dopo la consegna Lerario è stato arrestato ed è rimasto in carcere, visto che la gip Anna Perrelli ha disposto per lui la custodia cautelare e per Leccese e Mottola gli arresti domiciliari, così come era stato richiesto dal procuratore capo Roberto Rossi insieme con l’aggiunto Alessio Coccioli.

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Bonifiche e fughe di notizie

“Questa cosa si sapeva da un sacco di tempo…”, diceva il 3 settembre scorso un uomo mandato nell’ufficio di Lerario presso la sede regionale di via Gentile per togliere alcune microspie. Ma come si facesse a sapere resta un mistero, perché Lerario non aveva ricevuto alcun atto di indagine né sapeva ufficialmente di essere indagato. E anche le notizie giornalistiche pubblicate nei mesi scorsi in merito all’inchiesta sull’ospedale nei padiglioni della Fiera, del resto, non avevano mai fatto emergere questo particolare.

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Qualcuno lo ha avvisato, ipotizza adesso la Procura. Che ha aperto un’inchiesta per fuga di notizie. Il sospetto è che il capo della Protezione civile sia stato avvisato tempestivamente delle mosse effettuate dagli investigatori. Tanto da disporre che nei suoi uffici venissero effettuate bonifiche periodiche. Nel corso della prima, il 3 settembre, sono state disattivate alcune telecamere e microfoni installati dalla polizia giudiziaria, ma i bonificatori non si sono accorti che nella stanza c’era un’altra ambientale con la quale i finanzieri hanno ascoltato in diretta le operazioni.

Dì.È tutto staccato…“, diceva l’uomo salito sulla scala. “E la corrente da dove l’hanno presa?”, chiedeva un altro. “Ti faccio vedere, da dietro il condizionatore, questi sono i fili dei microfoni“. “Sono in gamba quindi...”.

La stessa operazione è stata ripetuta anche nel nuovo ufficio, occupato da Lerario dopo che ha lasciato l’incarico di dirigente dell’Economato. E probabilmente pure in qualche auto, considerato che di questo si parlava in un’altra conversazione intercettata: “Mi sa che trovò qualcosa pure in macchina Lerario. Nella sua privata…“. E una donna rispondeva: “Ci spiano? Eh…“. “Però non è neanche regolare che tu nella macchina non puoi parlare“.

Le mazzette e le precauzioni

“Se ci vediamo parliamo e facciamo tutto”, diceva Luca Leccese della Edil Sella il 29 luglio, dopo che Lerario gli aveva annunciato che gli era stata aggiudicata una gara. Il sospetto è che l’imprenditore volesse incontrare il dirigente per saldare il conto del suo interessamento. Del resto, ha precisato la gip Perrelli, nel corso delle indagini è emerso come Lerario avesse sempre un atteggiamento guardingo, parlasse pochissimo al telefono e desse appuntamenti a imprenditori e faccendieri per trattare di persona questioni delicatissime.

Il 20 dicembre, per esempio, annunciava a Leccese che il mattino successivo sarebbe andato a San Giovanni Rotondo, ma l’incontro poi saltava e veniva fissato per il 23 vicino alla Fiera del Levante a Bari. In quella circostanza l’imprenditore posava nel portabagagli della Bmw di Lerario cesti e pacchi di Natale e nel portaoggetti vicino al sedile una busta bianca con dentro 10mila euro in pezzi da 50 euro. Il giorno prima, 20mila euro erano stati consegnati da Donato Mottola. Che il 17 dicembre insisteva con il dirigente: “Dobbiamo vederci per forza prima di Natale, che poi io ho pronto….”.

I contanti in casa

A riprova del pagamento delle presunte mazzette la Guardia di finanza porta i risultati della perquisizione che è stata effettuata dai militari all’interno dell’abitazione di Mario Lerario. In una scatola rossa nella camera da letto sono stati trovati 2mila 600 euro in banconote da 50; nel comodino del dirigente un’altra scatola con 5mila 350 euro (sempre dello stesso taglio); nella cassaforte ubicata nella lavanderia 11mila euro in un contenitore di legno.

Secondo l’ipotesi degli inquirenti, si tratterebbe dei soldi consegnati da Mottola o da altri imprenditori in prossimità delle feste natalizie. Lerario ha dichiarato di non avere mai chiesto nulla agli imprenditori e che l’iniziativa di consegnargli del denaro sarebbe partita direttamente da loro.

Le intercettazioni

Le conversazioni ascoltate dagli investigatori inchiodano il dirigente alle sue responsabilità. Alle 20,19 del 22 dicembre, per esempio, Donato Mottola veniva intercettato mentre parlava al telefono con la moglie, alla quale diceva: “Ho preso della carne da consegnare a Lerario, una due chili e mezzo”. Alle 21,03 lei lo richiamava per chiedere se l’incontro fosse avvenuto e Mottola rassicurava: “Lui ha fatto tutto e io ho dato la manzetta, ho dato la mazzetta, ho dato tutte cose”. Al che la donna ribatteva: “Allora tutti felici e contenti”.

Di fronte alla consegna del denaro – annota la giudice – è singolare che Lerario non abbia manifestato stupore, non li abbia chiamati per restituire i soldi e non abbia minimamente ipotizzato di denunciare l’accaduto. Proprio questo particolare fa propendere per la tesi dell’accordo corruttivo, nel quale le responsabilità sono equamente distribuite.

Accordi che potrebbero aver riguardato anche altri imprenditori e altre gare pubbliche, tant’è vero che la gip parla di “zone d’ombra sulla gestione dell’attività contrattuale della Regione”. Ombre di cui apparentemente nessuno – né in ambito tecnico né in quello politico – si è accorto. Ma che, ipotizzano ora i magistrati della Procura, difficilmente sarebbero potute diventare così nere se Lerario non avesse goduto di appoggi e complicità. Anche a livelli alti.

La nota di Emiliano

“I fatti che emergono obbligano tutti a un’ulteriore massima allerta su qualunque procedura per la acquisizione di beni e servizi”, ha scritto il governatore Michele Emiliano. I controlli sulle attività svolte da Lerario (nel frattempo sospeso dal lavoro) sono svolti dall’Anticorruzione di Roberto Venneri. Mercurio è stato trasferito dall’Economato.

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