Mafia, non c’è pace per l’imprenditore che denunciò i boss di Foggia. Distrutto il deposito di Lazzaro D’Auria

Non c’è pace per Lazzaro D’Auria, l’imprenditore 55enne che denunciò la mafia foggiana, unica vittima di estorsione che si costituì parte civile nel processo “Decima Azione”. Ignoti hanno distrutto il suo deposito di fieno nelle campagne di San Severo, località Pavoni. Sul posto vigili del fuoco e carabinieri. D’Auria è da tempo sotto scorta, bersaglio di minacce e intimidazioni da parte di capomafia e picciotti della “Società Foggiana”. L’uomo finì soprattutto nel mirino della batteria Moretti-Pellegrino-Lanza con ramificazioni anche a San Severo e Torremaggiore.

Nelle motivazioni della sentenza del processo “Decima Azione”, culminato con pesanti condanne ai membri dei clan, si parla apertamente della vicenda dell’imprenditore, minacciato e vessato dai boss che gli chiedevano di versare 200mila euro per “vivere tranquillo”. I mafiosi chiedevano a D’Auria di lasciare alcuni terreni a Borgo Incoronata o, in alternativa, di versare i soldi, pena la morte. Gli estorsori si presentavano come un unico clan, i Sinesi-Francavilla-Moretti. Il boss Rocco Moretti, Franco Tizzano e due donne tra cui la figlia del “porco”, raggiunsero D’Auria mentre l’imprenditore usciva dalla Bpm di Foggia in via Telesforo. Tizzano, dopo essersi presentato, gli chiese ancora le 200mila euro.

Poche settimane dopo, altri esponenti dei clan affiancarono la vittima a bordo di un’auto per dirgli: “Tu all’Incoronata non ci devi andare… altrimenti ti incendiamo il vivaio, il piazzale e ti spariamo”. Uno dei malavitosi lo colpì con uno schiaffo rompendogli gli occhiali. “Tu non devi andare a Foggia perché i terreni non sono i tuoi”. Richieste estorsive ribadite a Matteo Lombardozzi, un dipendente di D’Auria poi morto ammazzato in un agguato di chiaro stampo mafioso nel luglio del 2017. Minacce anche lungo il corso principale di Foggia,nell’area pedonale. Due esponenti delle batterie affiancarono D’Auria e gli poggiarono la mano sulla spalla per poi dire: “O paghi o ti ammocchiamo”. Al momento è ancora sotto processo uno dei suoi presunti aguzzini, il torremaggiorese Giovanni Putignano.

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