Le tre correnti di Grillo

di Matteo Pucciarelli – espresso.repubblica.it

Dall’esterno il M5S è sempre apparso come un blocco monolitico. Nessuna corrente, nessuna cordata, nessuna visione alternativa rispetto a quella prospettata e propagandata dal blog di Grillo. Se ci si confronta con i normali partiti afflitti dal correntismo, le cose stavano più o meno così. Poi c’è stato il fuori onda in tv di Giovanni Favia («nel movimento non c’è democrazia») e i nodi sono venuti tutti al pettine.

Come già evidenziato, non era un segreto che, in privato, Favia dicesse e pensasse quelle cose. E che non fosse neppure il solo. Così, scavando più in profondità, ci si accorge che il M5S si divide in tre aree. C’è un pezzo di movimento che può essere definito “pragmatico”. In costante equilibrio tra il lavoro sul territorio e le spinte centrifughe del blog, tra la richiesta (e l’obiettivo) di una maggiore autonomia rispetto a Beppe Grillo stesso e le pur forti pulsioni fideistiche verso il capo. Ragazzi che vogliono bene al loro fondatore nonché “megafono”, i quali sanno benissimo che il destino del M5S è strettamente legato a quello del suo ideatore, ma che allo stesso tempo cercano di diventare grandi e camminare con le proprie gambe, a volte facendo scelte diverse rispetto a quelle “consigliate” dalla diarchia al comando. Un altro troncone è quello dell'”ortodossia” grillista. I duri e puri del verbo di Beppe, fedeli custodi delle parole d’ordine storiche: contro la Casta e i suoi privilegi, equidistanza ferrea da destra e sinistra e spesso pronti a bacchettare gli stessi compagni d’avventura che tentavo di conquistare una propria autonomia.

A volte per convenienza, a volte per reale convinzione. Infine il terzo, e a dire il vero più ristretto, gruppo. Quello “movimentista”, vicino alle tematiche ambientaliste e più di sinistra che, tra le altre cose, mette in secondo piano le proprietà miracolose di internet.

I PRAGMATICI
Era il delfino di Beppe ma non lo è più. Giovanni Favia, 32 anni, bolognese, papà di una bambina, è un personaggio conosciuto anche fuori dal movimento. Prima della fatwa del comico genovese contro le trasmissioni in tv, non disdegnava di parteciparvi. Anche perché funzionava: viso pulito, look apolitico, gioviale e sbarazzino, educato ma deciso sui contenuti. A volte esitante di fronte ai vecchi volponi catodici, ma perlomeno una faccia fresca e dei concetti chiari da esprimere. Anche un po’ sfrontato: uno capace di collegarsi su Facebook durante un talk su La7 e scrivere: «Ragazzi, hanno un alito che non potete immaginare….», chissà se riferendosi a Maurizio Gasparri o a Concita De Gregorio che erano con lui in studio. All’inizio candidato sindaco a Bologna, poi candidato presidente in Emilia Romagna. In entrambi i casi un successo. Un grillista della prima ora, che prima di fare politica a tempo pieno aveva provato con i più svariati lavori: magazziniere, cameriere, manovale edile, apprendista elettricista, rappresentante di commercio, fotografo, poi mise su una ditta per la produzione di materiali audiovisivi. Partecipò alle manifestazioni no-global di Genova 2001, ma riuscire a stanarlo adesso è impossibile: neanche sotto tortura dirà mai che sì, dopotutto ha un background di sinistra. (…)

E’ pragmatico Favia, è altrettanto pragmatico l’altro consigliere regionale emiliano, Andrea Defranceschi, 41 anni, veterinario e imprenditore. Che di Favia è grande amico. Anche perché se siede in consiglio è grazie proprio a lui. Nel 2010 avvenne questo: enorme successo grillista, due seggi conquistati. Già, ma Favia era “capolista” sia a Bologna che a Modena. Quindi la sua scelta avrebbe premiato (o escluso) uno dei due primi dei non eletti: la modenese Sandra Poppi, oppure il bolognese Defranceschi. La scelta di Poppi poteva sembrare la più logica: una donna, una non bolognese, avrebbe bilanciato almeno due fattori, cioè quello di genere e quello territoriale. «Non era stato messo nero su bianco, ma ufficiosamente era stata prospettata la mia nomina», dice lei oggi, un passato in Legambiente e nei Verdi. Ma il rapporto di Favia con Defranceschi è forte («gli ha fatto da “portaborse” per anni», dicono i maligni) e così Favia sceglie di non scegliere. E di far decidere l’assemblea locale del movimento. «Quaranta persone chiuse in una stanza optarono per Defranceschi. A Modena votarono me e il M5S per nulla…», spiega ancora la Poppi. (…)

Rientra nella categoria dei pragmatici anche l’uomo emblema del grillismo vincente e di governo. Federico Pizzarotti, diventato sindaco di Parma contro ogni previsione. Trentanove anni, impiegato di banca, ex elettore di Rifondazione Comunista, zero fiducia nei politici di oggi e un mito: Sandro Pertini. Anche lui sguardo pulito e lontano mille miglia dalla malizia del politico navigato. Probabilmente proprio per questo i parmensi l’hanno scelto, dopo anni di governi corrotti e clientelari, dopo aver accumulato un debito monstre di quasi un miliardo di euro. Il giorno seguente alla vittoria elettorale e un giorno prima del “caso Tavolazzi” Pizzarotti se n’era uscito con una frase indicativa di quel che comunque bolle dentro il M5S: «Qui abbiamo vinto noi, non Grillo». Apriti cielo, il blog del comico diventò un’arena, con relativo “processo” al neosindaco: «Non hai vinto da solo, basta con i protagonismi». Le due anime del movimento pronte a scontrarsi, quindi, anche dopo una giornata storica. (…)Andando in Piemonte, invece, in consiglio regionale c’è Fabrizio Biolè. Trentacinque anni, impiegato, eletto a Cuneo con 737 preferenze nel 2010. No Tav della prima ora, si autodefinisce «logorroico ed egocentrico, ma non sempre». A un certo punto voci insistenti lo davano diretto a Sinistra Ecologia e Libertà. Indiscrezioni sempre smentite, ma che rendono l’idea di una certa insofferenza dentro il movimento. Tra accuse, liti telematiche, piccoli e grandi screzi e sospetti.

GLI ORTODOSSI
Rigoroso, preparato, austero già dallo sguardo con quella barba lunga e rossiccia, ma soprattutto in apparenza interprete privo di dubbi, quasi religioso, del verbo di Grillo. E’ Davide Bono, classe 1980, consigliere regionale in Piemonte (…)Bono, a differenza dei “pragmatici”, ha una fiducia smisurata nell’uomo e nel leader Beppe Grillo. E una altrettanto forte idiosincrasia verso gli altri partiti e la politica tradizionale («Pd e Pdl sono solo comitati d’affari che litigano di giorno e di notte si spartiscono l’Italietta che la vota»). Difficile riuscire a carpire nelle sue parole una minima spaccatura o insofferenza nei confronti dello strapotere della coppia Grillo-Casaleggio. (…)

Bologna non è solo Grillo-ribelle. C’è anche il presidio ortodosso, ed ha il nome di Massimo Bugani. Capogruppo consiliare a Bologna, 34 anni, professione fotografo, indicato come un altro papabile per lo sbarco a Roma (lui nega fermamente). Insieme a Federica Salsi (l’unica donna del movimento con una certa visibilità, classe 1972) e a Marco Piazza compone il trio terribile a Cinque Stelle sotto l’Asinello. Da navigato democristiano stile Prima Repubblica minacciò i compagni invisi: «Ho un dossierino su chi ha qualcosa da nascondere», poi però non se n’è saputo più nulla. Bugani è un fan di Grillo, da sempre, da quando aveva otto anni. «Ogni cosa che negli anni ha fatto quest’uomo per me è divenuta fonte di curiosità, di attenzione e di divertimento. Discorsi all’umanità di fine anno, spettacoli nei teatri, nei palazzetti, interviste, dichiarazioni. Ad ogni parola mi sentivo più vicino a lui, ad ogni risata che mi procurava la sua geniale ironia io mi convincevo sempre più di avere la fortuna di vivere un arco della mia vita in contemporanea a lui». Obiettivi semplici eppure immensi: «Il mondo di oggi è ingiusto e la vita è difficile, il nostro compito è cercare di rendere il mondo un po’ più giusto e la vita un po’ più semplice». (…)

Terzo nome da tenere d’occhio è il capogruppo comunale Vittorio Bertola. Trentanove anni, è uno sicuro di sé: «Sono uno dei maggiori esperti italiani di Internet nei suoi aspetti tecnici, economici, sociali e politici, in qualità di imprenditore, scrittore, attivista e ingegnere; sono uno dei pochi italiani a possedere notorietà internazionale in questo settore», scrive sul proprio sito. (…) Con il collega piemontese Davide Bono i rapporti non sono proprio idilliaci. Lo screzio è anche figlio di due diverse visioni politiche, una più liberista (Bertola) e l’altra più attenta al sociale (Bono). Il primo infatti nel settembre 2011 criticò pubblicamente la partecipazione personale del consigliere regionale allo sciopero generale della Cgil. E Bono rispose: «Non accetto il troppo facile populismo di alcuni per cui tutti i sindacati fanno i loro porci comodi per accumulare più potere». (…) L’uomo del movimento più conosciuto e apprezzato al sud è invece il napoletano Roberto Fico. Classe 1974, una laurea in scienze della comunicazione (…) si dice che potrebbe essere lui il candidato premier per il 2013. Ha delle posizioni classiche di sinistra («Un governo di vigliacchi insieme ai partiti vigliacchi vogliono toccare senza alcun motivo l’articolo 18, non esiste una sola valida ragione per farlo», scrisse su Facebook), ma la vena antipartitica è radicale.

L’ANIMA MOVIMENTISTA
Una volta si sarebbe detto la corrente di sinistra. Adesso è un po’ più difficile fare distinzioni di questo genere ma una cosa è certa: la figura di Paolo Putti è, tra tutte, quella meno incasellabile. Candidato a sindaco di Genova pochi mesi fa, sfiorò il ballottaggio per pochissimo. E questo nonostante il centrosinistra avesse presentato un candidato di rottura come Marco Doria, comunista, vendoliano e sostenuto da don Andrea Gallo. (…) E’ l’unico uomo in vista del movimento che non ha problemi a definirsi, almeno idealmente, di sinistra. Putti a differenza del grillista standard dice di preferire «le riunioni in piazza e nei circoli operai» a Internet e di non essere «troppo convinto delle proprietà taumaturgiche della Rete». Quasi un’eresia per il M5S.

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