La rivolta di Bagheria contro il pizzo. Trentasei imprenditori denunciano i boss

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di SALVO PALAZZOLO – palermo.repubblica.it

Alle cinque del mattino, i riflessi blu dei lampeggianti avvolgono i mostri di Villa Palagonia. Un tempo, questo era il luogo dei sogni: le statue deformi del principe Negromante, come lo chiamavano, divertivano il pittore Renato Guttuso e il poeta Ignazio Buttitta. Era la loro Bagheria. Poi arrivarono i corleonesi, il capomafia Bernardo Provenzano iniziò qui la sua latitanza dorata, in una sontuosa villa antica, dicono. E Bagheria diventò un feudo di mafia. Feudo di paura, di ricatti e di complicità. Questa notte, i riflessi blu dei lampeggianti lungo il corso principale di Bagheria avvertono che qualcosa è accaduto. Un altro blitz, altri arresti nel gotha di Cosa nostra. Ma non solo.
Questa notte, il provvedimento di arresto per 22 persone ripercorre gli ultimi venticinque anni di storia di Bagheria. A riscriverli, è la gente di questa cittadina alle porte di Palermo: 36 fra commercianti e imprenditori hanno denunciato finalmente anni e anni di ricatti passati a pagare il pizzo ai boss. Una rivolta senza precedenti in terra di mafia. Tre imprenditori si sono presentati spontaneamente ai carabinieri del nucleo Investigativo di Palermo, tutti gli altri sono stati convocati in caserma dopo le prime dichiarazioni del pentito Sergio Flamia, fino a qualche anno fa mafioso di rango a Bagheria, e hanno ammesso di aver pagato il pizzo.

Così, è nata l’inedita rivolta di Bagheria salutata con soddisfazione da politici, associazioni antiracket e mondo della cultura, da Renzi a Dacia Maraini. Potrebbe diventare un altro capitolo della Baaria del regista Peppuccio Tornatore, anche lui giocava da bambino fra le statue mostruose di Villa Palagonia. Il procuratore Francesco Lo Voi, l’aggiunto Leonardo Agueci, i sostituti Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli chiamano in causa tutti i mafiosi più autorevoli che in questi ultimi vent’anni si sono alternati al comando del clan e dei ricatti. Gino Di Salvo, Nicola Eucaliptus, Onofrio Morreale, Gino Mineo. Tutti fedelissimi di Bernardo Provenzano. Un imprenditore si è indebitato fino al collo pur di pagare ogni mese il pizzo. All’inizio, era stato obbligato a mantenere anche la famiglia del boss in carcere, tre milioni delle vecchie lire ogni mese, poi un altro stipendio al mafioso dopo la sua scarcerazione. Quell’imprenditore ha dovuto vendere una villa per riuscire ad onorare il suo debito con i boss, e alla fine è finito sul lastrico. A Bagheria, il pizzo è stata una terribile tassa. Nessuno poteva evadere. “Ma adesso tanti operatori economici hanno deciso di liberarsi di questo peso – spiega il colonnello Salvatore Altavilla, il comandante del Reparto Operativo – non era mai accaduto che un numero così consistente di vittime collaborasse“. Segno che un pezzo di mafia siciliana è ormai in crisi.

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