La mia passeggiata e la mia delusione – di Luigi Tedesco

Questa non è la mia solita passeggiata rigeneratrice, ma una passeggiata che ha lasciato nel mio animo tristezza e malinconia per una Molfetta scomparsa e che sta scomparendo inesorabilmente.

Stanno costruendo accanto alla lama, stanno costruendo accanto al mare, stanno costruendo accanto al cimitero, stanno costruendo accanto alla stazione. Una totale scelleratezza urbanistica che ha raggiunto l’intollerabilità.

In una sorta di “ansia da prestazione di occupazione di ciò che si può occupare”, stanno riempiendo come caselle ogni posto lasciato libero. Spazi che nessuno mai nel passato ha osato occupare, oggi, dopo centinaia di anni, lo sta facendo, senza scrupoli, e il motore di tutto è solo uno: il Dio denaro.

A Molfetta è in atto una rivoluzione senza precedenti, epocale, una rivoluzione che sta riscrivendo il territorio attraverso uno scempio urbanistico che sfigura la città.

Devo premettere che non entro nel merito delle “carte” che “forse” saranno a posto e che non intendo mettere in discussione. Voglio parlare solo del dolore che mi assale quando vago per la città.

Sono convinto di interpretare il pensiero di tantissimi miei concittadini che, per motivi diversi, continuano a tacere, convinti che niente possa cambiare, incapaci di sdegnarsi e indignarsi, in una rassegnazione silenziosa quanto mai deleteria.

Se si alza lo sguardo in questa Molfetta trasfigurata, svettano inquietanti gru, palazzoni eretti nei posti più impensabili che minacciano lame, spiagge, cimitero, binari della stazione. Mi appaiono come mostruosità del paesaggio urbano da cui non sarà possibile prendere le distanze, perché d’ora innanzi faranno parte della città e modificheranno la percezione del cielo, del territorio, del sole, dell’aria, del mare. Lo sguardo non potrà più perdersi e allungarsi in quelle direzioni, incontrando l’ostacolo di nuove edificazioni sovradimensionate rispetto ad una cittadina qual è Molfetta. Non occorre molto per rendersi conto che la mole imponente degli edifici in via di costruzione in tutti i quartieri colpisce al cuore la forma stessa della città. Considerando che pure una casa posizionata male può rappresentare un elemento di disturbo visivo ed essere causa di malessere, figuriamoci palazzoni alti e grossi che occupano qua e là la città. Già, perché il paesaggio urbano andrebbe contestualizzato e dimensionato correttamente. Qui invece è fuori di dubbio che non si sia fatto alcuno studio sull’impatto ambientale, tantomeno sull’impatto sociale.

Quando da corso Umberto lo sguardo si allunga oltre la stazione, si vedono insopportabili gigantesche costruzioni edilizie che mozzano la vista e mi mettono di malumore. Altri scavi si stanno facendo proprio da quelle parti e verranno eretti altri giganti di cemento, proprio in una zona già fortemente compromessa, dove “lorsignori” non sono stati capaci di portare a termine le urbanizzazioni primarie e c’è solo polvere e pantani. Mi viene da riflettere che se questo è il livello di civiltà e di incuria, avremo presto nuovi pantani, nuovi squarci, altra polvere, altri viottoli sterrati, nessuna urbanizzazione, in un ammasso caotico di voragini aperte, incuria, vegetazione in stato di abbandono.

Stessa cosa, ed anche peggio, per quelle costruzioni che campeggeranno sulla lama, rubando spazio visivo verso il paesaggio. Vicino alle scuole, senza alcun rispetto della gerarchia delle altezze, palazzi colossali che stanno schiacciando tutto e si faranno beffa di coloro che avrebbero voluto ammirare la lama e la campagna da quell’unica breccia che era rimasta intatta. Il paesaggio se lo tengono per loro.

Quando si scende da via Francesco Carabellese faceva capolino il mare color zaffiro, che riusciva a consolarci anche tra tanto cemento già presente. Ora un immenso palazzo spadroneggia e toglie la vista. E se lo sguardo si spinge più in là, altre due costruzioni svettano impunemente sul mare.

E’ di questo incredibile scempio che vorrei ora parlare, dove la linea di costa non si vede più, a favore di altri palazzi che ingiuriano l’orizzonte e mettono il povero incredulo cittadino con le spalle al muro. Non bastava lo sfregiante palazzone dell’Inps? Ora vi sarà un intasamento caotico di spazi occupati dal cemento, senza un minimo di pianificazione logica, basta che siano riempiti tutti i vuoti architettonici e che ci sia un imprenditore a cui elargire concessioni edilizie miracolose. E si perché qui non si scherza! I palazzi sono stati immaginati a ferro di cavallo sul mare, con spiaggetta a ridosso della Bussola, forse, chissà, mini porticciolo e forse strada privata di accesso….

Boccio senza appello ciò che sta accadendo. Faccio fatica a rimanere indifferente di fronte allo stupro in atto del paesaggio urbano, una pornografia urbana che mi fa vergognare di essere molfettese.

Ma come giustificare questi nuovi giganti edilizi? Forse a Molfetta si ha necessità di nuove case e quindi è necessaria un’espansione? Chi abiterà lì? Chi le comprerà quelle case? Le nuove costruzioni dovrebbero seguire l’andamento demografico, ma il censimento è inesorabile, come lo sono i numeri: la popolazione molfettese nel 2001 è di 62478 abitanti, gli abitanti di Molfetta nel 2019 sono 58145, quindi in decrescita. Non riesco a trovare la logica immobiliare che sta dietro. Eppure, contro ogni ragionevolezza demografica e sociale, nonostante un patrimonio immobiliare saturo perché anche le zone centrali sono disseminati cartelli di “fittasi” e “vendesi”, si continua a costruire, costruire, costruire in un altrove lontano da tutto.

Cosa si nasconde dietro questa predazione del territorio? La solita convinzione che la filiera dell’edilizia è ciò che fa ripartire l’economia?

La visione della città è obsoleta e anacronistica, certamente poco aderente alla realtà; davvero si ritiene nel 2021 che solo l’edilizia determini quell’effetto moltiplicatore rincorso dalle imprese del mattone e dagli amministratori accondiscendenti e accomodanti? Un futuro dove la creatività imprenditoriale e dei politici è ancorata all’economia del mattone propria dei saccheggi anni ‘60 e che non riesce a partorire altro che nuova edilizia, è davvero imbarazzante. E cosa ne è delle nuove visioni urbanistiche che vorrebbero favorire la rigenerazione urbana e migliorare l’esistente? Ma è più facile e conveniente costruire il nuovo, perché meno impegnativo e più remunerativo per i costruttori. Guadagneranno loro, mentre i costi collettivi di queste nuove espansioni urbane saranno pagate a caro prezzo dalla collettività. Ogni palazzone si porta dietro e lascia in eredità alla città squarci di rovine ambientali e paesaggistiche: tutto bello e nuovo dove si costruisce e intorno lande desolate e polverose, in attesa di marciapiedi, illuminazione, servizi. Senza calcolare i riflessi sul traffico, sulla pressione dei nuovi abitanti confinati in quegli altrove rimasti polverosi e privi di servizi e che comunque continueranno a passeggiare in centro, portandosi dietro il fardello delle loro macchine, intasando il già compromesso centro cittadino.

Come non pensare che questo sfacciato consumo di territorio condizionerà per sempre il destino della nostra Molfetta? Si parla di vocazione turistica, ma più deprediamo il territorio e meno persone vorranno fermarsi in città!

Il mio pensiero corre ai palazzi di “Pansini e Gallo”, dove per una illusione ottica ora sembrano accatastati su un nuovo palazzone, al palazzo Cappelluti che con l’inganno ai Molfettesi che lo volevano ancora lì, è stato massacrato e trasformato, masserie e campagne bellissime dove ora sorgono volgari ipercoop e outlet . E poi ci sono anche i mostri abbandonati prima ancora di essere terminati e collaudati. Senza opere di urbanizzazione, senza strade, senza uno spazio verde, in mezzo ai pantani, in mezzo alla polvere.

Mi spingo sul porto, in cala Sant’Andrea, poi sul lungomare vicino alla Madonna dei Martiri. E’ scomparso l’orizzonte. La linea di separazione tra il mare e il cielo la dobbiamo solo intuire, ricordare, non farà più parte del bagaglio di ricordi delle nuove generazioni.

La linea di costa sarà diversa, mentre incombe sui nostri sguardi l’edificazione del nuovo porto che ci ruba la vista del Gargano e molti tramonti. Spettacoli gratuiti che scaldavano il cuore e l’anima.

Ricordo ancora qualche politico che anni addietro diceva: per ora facciamo il porto bussando alle casse statali, tanto paga Pantalone, poi pensiamo a cosa farne…Nessuno vorrà abbandonarci!

Tutto irragionevole, in una deriva di pensiero che ammutolisce, perché è davvero difficile trovare giustificazioni.

Se si vuole dare un’impronta turistica e attrattiva alla città, certo bisogna far ruotare i nostri pensieri e i nostri intendimenti di 360 gradi. E’ necessaria un’inversione di tendenza. Non si può pensare che Molfetta possa vocarsi al turismo, fino a quando si autorizza tutto questo cemento, volgare e distruttore di bellezza.

Certo non si passeggia sulla spianata del porto di Gioia Tauro, non si va al porto industriale di Marghera. Non dico che si debba pretendere Molfetta bella come Portofino o Positano, ma oramai si è superata la soglia della sopportazione.

Dire che tutto questo è ineluttabile e che si tratta di una fatalità tragica, mistifica le cose e offende i cittadini molfettesi. Non è sempre così vero che le concessioni edilizie si devono necessariamente dare alle condizioni richieste. Forse c’era ancora spazio per negoziare. Perché “lorsignori” non hanno tentato? Le volumetrie espresse saranno anche previste nel piano regolatore vigente, ma i progetti potevano essere emendati. Tutta la città deve sapere che si sarebbe potuto e dovuto provvedere a redigere il piano dei servizi che avrebbe impedito ulteriori scellerate espansioni o a chiudere con questo piano regolatore e magari pensare al piano urbanistico generale. 

Far ignorare i fatti, lasciare i cittadini senza strumenti per analizzare in maniera comprensibile le cose, non dare spiegazioni, accresce il senso di impotenza e di rabbia.

Il bene di tutti finisce per coincidere col bene di una parte. Questa battaglia la stiamo perdendo. Purtroppo. E ora ci ritroviamo tombati nel cemento. L’urbanistica relegata a disbrigo delle questioni tra chi ha diritto di costruire e dove, è davvero una ignominia! Non deve interessarci il singolo manufatto che ci dicono abbia le carte in regola, ma la completezza dell’insieme che invece andava studiata nel suo spazio vitale e sociale.

Questa città ci è stata data in prestito dai nostri nonni e padri e stiamo consegnando ai nostri figli e nipoti orride, insignificanti, colate di cemento, a cui si aggiungono in questi mesi, ancora cemento e cemento e cemento…

Chi deve proteggerci?

Chi deve avere la visione d’insieme?

Chi deve dare il senso della misura?

Chi ci deve salvare dalla devastazione delle periferie infinite?

Chi si deve vergognare?

Chi doveva studiare il rapporto tra case e strada?

Chi doveva garantire il dialogo tra palazzi, strade, uomini?

Dov’è lo spirito della città?

Ora solo l’avvilimento, il lamento sulle incongruenze stilistiche e ambientali, il lamento sulle aree costruite disadorne e insignificanti

La mia esplorazione finisce qui, in questo soliloquio interiore.

Fuori dalla scena, “io come persona che ho il sospetto di non poter scegliere mai”, come diceva Giorgio Gaber, ed io aggiungo, di non aver potuto scegliere mai!

Intanto gli occhi non vogliono vedere più.

Luigi Tedesco

 

3 Risposte a “La mia passeggiata e la mia delusione – di Luigi Tedesco”

  1. Ci voleva un animo nobile, coraggioso e attento come quello del prof. Gino Tedesco per denunciare lo scempio in atto e rappresentare lo scoramento profondo dei cittadini. Grazie Gino.
    Aggiungo che tante colate di cemento segnano un ulteriore imbarbarimento sociale se, come si è supposto, quelle bombe di qualche settimana fa sono da ricondurre a gruppi di delinquenti che operano con modalità mafiose. Sono realmente e profondamente schifato del degrado civile e sociale in cui la città è caduta. Pure qualche settimana fa fu diffusa la notizia che erano arrivati fondi per la costruzione di.un altro palazzetto dello sport, l’ennesimo.
    Cosa ce ne facciamo di palazzoni che ci tolgono il respiro e di tanti palazzetti dello sport? Qualcuno dovrà rispondere a queste domande. Non so cosa si può fare, non lo so. Sono anziano, e forse non mi interessa neppure saperlo.

  2. Il pesce puzza sempre dalla testa…chi l’ha ridotta in questo stato la città? Canaglie gli amministratori e canaglie i cittadini che li hanno votati sicuramente per piccoli e meschini vantaggi personali.

  3. Questo commento è stato postato su un’altra pagina:

    Cosimo Gadaleta:

    27 Settembre 2021 alle 03:22 Modifica
    In questa notte di autunno insonne ho passeggiato, ahimè, con lei provando la medesima delusione e tristezza che mi lacera ogni volta che rientro in città.
    Sono passati 21 anni da quando sono partito e circa 30 anni dal mio incontro con l’amico Matteo, battagliero ieri come oggi, nonostante la sorda indifferenza della comunità alle battaglie di legalità e di costruzione di una sana, responsabile e visionaria coscienza civile.
    Mi congedo tuttavia con una riflessione di speranza perché sin quando ci saranno cittadini come lei, come Matteo e tanti altri, la condivisione di un’idea diversa di Molfetta e della sua comunità potrà diventare un percorso, un progetto e, perché no, una realtà.

    Con gratitudine e stima per il suo articolo.

    Cosimo Gadaleta
    (Milano – Molfetta)

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