La condanna a quattro anni per corruzione costa l’incarico a Luigi Scimé. Il Csm ha sospeso dalle funzioni l’ex pm di Trani, nel frattempo trasferito al Tribunale civile di Salerno. È l’effetto della sentenza pronunciata il 9 luglio dal gup di Lecce, Cinzia Vergine, che ha ritenuto il magistrato nato a Venosa, 56 anni, colpevole al pari dell’ex collega Antonio Savasta.
In base all’accusa Scimè sarebbe intervenuto sui fascicoli dell’imprenditore coratino Flavio D’Introno in cambio di 75mila euro in contanti. Tuttavia l’ex pm è rimasto in servizio per l’intero processo perché, a differenza dei suoi ex colleghi, non era stato sottoposto a misure cautelari: il Csm aveva accolto la richiesta della difesa (avvocato Mario Malcangi) di attendere l’esito del giudizio abbreviato prima di disporre la sospensione che – in caso di reati gravi svolti nell’esercizio delle funzioni – è automatica. Scimé presenterà appello contro la sentenza di condanna (le motivazioni dovrebbero arrivare a ottobre), che prevede anche la confisca dei 75mila euro, l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e (così come per Savasta, che però si è dimesso) la destituzione dalla magistratura.
Il processo ai giudici per il «sistema Trani» riprenderà mercoledì davanti alla seconda sezione del Tribunale di Lecce da dove è stato sospeso il 15 luglio. Ovvero dall’audizione del luogotenente dei carabinieri di Barletta, Saverio Santoniccolo, che ha condotto le indagini nate dalle denunce di D’Introno. Rispondendo alle domande della Procura (con i pm Roberta Licci e Alessandro Prontera), Santoniccolo aveva già cominciato a raccontare la genesi dell’inchiesta e i primi accertamenti svolti tra Trani e Corato, a partire dai primi contatti telefonici registrati tra D’Introno e l’ex pm Michele Nardi, accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari: contatti che – ha detto il militare – risalivano fino al 2015, e che nel corso del tempo hanno riguardato anche ipotesi di investimenti immobiliari proposti dal magistrato all’imprenditore.
Le indagini sui giudici di Trani sono partite da due fascicoli parallele, uno su questioni di criminalità organizzata nato dalla denuncia dell’ex compagna di un pregiudicato (in cui si parlava di un magistrato che prendeva mazzette), l’altro acceso su una delle società del padre di Flavio D’Introno che era al centro di una guerra in famiglia. Santoniccolo ha anche ricordato le dichiarazioni rese nel 2016 da un’altra giudice, la dottoressa Maria Grazia Caserta, a proposito dei rapporti tra D’Introno e Nardi: anche la gip è stata ascoltata come testimone nel processo confermando tutto. A replicarle è stato (attraverso dichiarazioni spontanee) lo stesso Nardi che ha in sostanza accusato la ex collega di averlo attaccato per motivi personali. Le indagini dei carabinieri di Barletta, comunque, non sono terminate.
fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it