Giustizia svenduta, imprenditore Tarantini: «Ai magistrati ho dato pacchi di soldi»

fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

L’ex pm Antonio Savasta ha ammesso di aver preso 120mila euro tra contanti e regali, per sé e per l’ex cognato. Ma gli altri protagonisti della storia della giustizia truccata nel Tribunale di Trani hanno offerto versioni un po’ di verse, in uno scaricabarile di responsabilità ed in un coacervo di ruoli, cifre e circostanze che non sarà semplice da dipanare. A partire da una delle vicende finite nel mirino della Procura di Trani, quella della stangata all’imprenditore coratino Paolo Tarantini, messo in mezzo dalla cricca dei giudici con una falsa indagine per reati fiscali.

Tarantini, proprietario della Resta Viaggi di Corato, in questa storiaccia è parte offesa ed è stato ascoltato come testimone il 31 gennaio: ne è emerso un verbale riassuntivo di 11 pagine che la Procura ha allegato agli atti dell’incidente probatorio che si aprirà lunedì davanti al gip Giovanni Gallo. Tarantini ha raccontato di aver pagato molto più di quanto Savasta abbia confermato nelle sue confessioni: 400mila euro per la falsa indagine (ripartiti tra l’ex gip Michele Nardi e Savasta), 60mila euro a Savasta (che gli chiese un prestito per cure mediche al figlio, ma che poi li utilizzò – come emerge dall’indagine – per pagare uno dei falsi testimoni messi in campo per salvare l’imprenditore Flavio D’Introno), 40mila euro a Nardi dietro la promessa di aggiustare una causa di lavoro (cosa che non avverrà). Mezzo milione di euro, consegnati in contanti e in più di una occasione, all’interno di buste da lettera o in sacchetti di plastica, denaro che in una occasione Tarantini deve farsi prestare.
Tutto nasce, ha detto Tarantini, da un bigliettino di Savasta e da un incontro con l’ex pm in una palestra di Barletta. Ma anche qui le cose non tornano.

IL BIGLIETTO DA VISITA
Tarantini racconta infatti di aver ricevuto dalla sorella di Savasta (che non è indagata e che l’altro giorno ha detto alla «Gazzetta» di non sapere nulla delle attività dell’ex pm) un biglietto da visita della palestra di Barletta, quella di via dei Pini. Dietro il biglietto era appuntata, a penna, la cifra di 400mila euro: fu D’Introno – ha detto l’imprenditore – a fargli notare a chi fosse riconducibile quella palestra, per fargli capire da chi venisse la richiesta.
L’episodio del bigliettino è stato raccontato anche da Savasta, ma in maniera un po’ diversa, soprattutto sulla cifra. «Mia sorella stava là e non fu resa edotta di niente, stava là ma soprattutto pensava che fosse un amico del D’Introno che era andato a chiedere un consiglio, aprì la palestra, disse “vedi che un amico di D’Introno che vuole parlarti”, questo capiva lei». La richiesta di denaro, Savasta la racconta così: «Detti a mia sorella una busta, dissi “Dai questa busta a D’Introno”, chiusa naturalmente, cioè non volevo coinvolgere mia sorella in questa cosa, lei sapeva soltanto che un amico di D’Introno era venuto a chiedere qualcosa, un consiglio, e praticamente gli detti questa busta nella busta era solo indicata la somma, 300». Il pm Licci chiede conferma sulla cifra: «Trecentomila – risponde Savasta – ecco perché dico non è ne 400, ne 600, c’è tutta un’invenzione, però questa indicazione in merito mi fu detta dal Nardi, cioè mi fu detto questo è l’importo che devi chiedere, poi ce la vediamo noi».

I 400MILA EURO
Tarantini ha raccontato che i 400mila euro furono consegnati in due rate. La prima, in una stazione di servizio Esso, dove si era recato in compagnia di D’Introno su indicazione di Nardi: qui trovarono un’auto in cui D’Introno riconobbe la sorella dell’ex gip. La seconda consegna sarebbe invece avvenuta nella zona industriale di Corato, «nei pressi del capannone» di D’Introno, a a «una persona» che era a bordo «di una Jeep tipo suv di colore nero, la cui targa comincia per EA»: fu D’Introno a effettuare materialmente la consegna di «un pacchetto» e a riferire che a bordo del Suv c’era «la sorella del giudice Savasta».
«So che ci furono due tranche di pagamento diciamo così, la prima tranche che poi fu chiarita nel corso di quel dialogo», ha spiegato Savasta: quel dialogo è il colloquio con l’ex pm che D’Introno registra e porta ai carabinieri. Ma sui secondi 200mila euro, nega: «Non è vero, non è vero questo, non ho preso 400.000, non stavo qua se avessi preso 400.000 forse .alle Seychelles ci andavo io, no sarei rimasto comunque, ma voglio dire le 400.000, ma non è possibile, non ho mai preso 400.000, e forse nemmeno lui le avrà date, io so di 200, queste 200 date a Nardi, queste 60, ma non so altro». La Jeep nera citata da Tarantini – secondo il difensore di Savasta, l’avvocato Massimo Manfreda – non sarebbe in alcun modo riconducibile all’ex pm o alla sorella.

LA STANGATA
Per indurre Tarantini a pagare, la cricca gli fa notificare un falso avviso di garanzia per reati fiscali. Una indagine completamente inventata di cui Savasta dice di aver saputo a cose fatte: la Procura non gli crede perché, pur avendo l’ex pm disconosciuto la firma sotto l’atto, il numero di registro corrisponde a un fascicolo assegnato a lui. Ma Tarantini mette a verbale la chiusura del cerchio, di quello che sembra un raggiro alla Totò e Peppino.
«Dopo due o tre giorni dall’ultimo pagamento – dice l’imprenditore di Corato – l’avvocato Simona Cuomo (è l’avvocato di D’Introno che gli era stato imposto dalla cricca, e che è indagata per questo episodio anche per aver preso 12.500 euro di parcelle, ndr) mi dice che entro il 5 dicembre sarei stato chiamato» per far sparire l’indagine. E così avviene: è il poliziotto Vincenzo Di Chiaro (tuttora in carcere a Lecce) – racconta Tarantini – a convocarlo in commissariato a Corato dove «mi viene fatta firmare una revoca dell’avviso di garanzia», con contestuale richiesta di restituire l’atto. Ma Tarantini ne aveva fatto una copia, che ha consegnato alla Procura di Lecce.

IL CONFRONTO
Lunedì, come detto, inizierà l’incidente probatorio per confrontare le dichiarazioni di Savasta, D’Introno e Di Chiaro con quelle dei testimoni (tra cui appunto c’è pure Tarantini, rappresentato dall’avvocato Beppe Modesti) e con le posizioni degli altri nove indagati chiamati in causa dalla Procura, così da trasformarle in una «prova anticipata» utilizzabile a dibattimento. Nardi (tuttora in carcere a Taranto), Savasta (ai domiciliari), Di Chiaro, D’Introno (libero) e la Cuomo (interdetta) rispondono tra l’altro di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari.

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