Giudice arrestato a Bari, un’avvocata intercettata: “Lo denuncio in Procura”

Spuntano ulteriori particolari sull’ipotesi delle mazzette al giudice De Benedictis. E altri legali potrebbero essere coninvolti nel giro di presunte tangenti – di Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

L’inchiesta di Lecce sugli episodi di corruzione nel tribunale di Bari riparte dagli interrogatori di garanzia in cui il giudice molfettese Giuseppe De Benedictis e l’avvocato barese Giancarlo Chiariello hanno ammesso di avere ricevuto e consegnato denaro per facilitare la scarcerazione di pregiudicati arrestati per reati di mafia. Con gli interrogatori di garanzia si chiude il primo capitolo di una storiaccia che ha travolto la magistratura e il Foro del capoluogo pugliese. E si riparte dal pentimento e dalla vergogna di un uomo che ha trascorso 36 anni in magistratura, l’ha lasciata nel modo peggiore e ora si dice pronto a nuove dichiarazioni.

Un giudice di cui già un decennio fa aveva parlato un pentito barese, affermando che prendeva mazzette, e che alcuni giovani penalisti definivano “uno che fa favoritismi”, come l’avvocata intercettata mentre parlava con l’avvocato Chiariello e che voleva presentare una denuncia in Procura contro De Benedictis. Anche dall’interrogatorio di Chiariello la Procura di Lecce ripartirà per capire se i due indagati debbano essere riascoltati dai soli pubblici ministeri, Roberta Licci e Alessandro Prontera, e se sono intenzionati a collaborare con la giustizia.

La difesa del giudice

“Gli episodi contestati sono stati ammessi dal giudice, tranne quello riferito a Pio Michele Gianquitto — hanno spiegato gli avvocati Saverio Ingraffia e Gianfranco Schirone — Stiamo lavorando per attenuare i danni e salvare il salvabile”. L’interrogatorio davanti alla gip Giulia Proto è durato un paio d’ore ed è stato molto sofferto. All’uscita del carcere di Lecce, i due penalisti hanno descritto De Benedictis come “un uomo distrutto, piegato dai sensi di colpa, che si è detto pronto a pagare per quello che ha fatto e a sopportare anche il carcere. Questo gli fa onore”.

Sui motivi che abbiano indotto un magistrato quasi alla fine della carriera e in una buona posizione professionale a tradire così impunemente il proprio lavoro, De Benedictis non ha fornito risposta. “Ha subìto un cortocircuito, una sorta di disconnessione psicologica dopo aver subito alcuni traumi e ha perso la retta via — hanno detto i suoi difensori — Ha sbagliato, ha chiesto scusa e pagherà, ma non bisogna dimenticare che è stato un magistrato esemplare per 36 anni, capace di sobbarcarsi un’enorme mole di lavoro e di dimostrare una professionalità come pochi”.

L’interrogatorio ha riguardato soltanto gli episodi contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare ovvero le dazioni di denaro da parte di Chiariello per le scarcerazioni di Danilo Pietro Della Malva, Antonio Ippedico, Pio Michele Gianquitto e Roberto Dello Russo. Al momento nessuna domanda sui rapporti con altri avvocati o su altri provvedimenti che potrebbero essere stati sollecitati da amici. La Procura di Lecce, però, sembra intenzionata ad andare a fondo. “La Procura fa il suo lavoro e noi gliene siamo grati come cittadini — hanno affermato Schirone e Ingraffia — Spero che vadano avanti sino in fondo, perché se c’è un tumore va estirpato”.

La difesa dell’avvocato

Gli avvocati Andrea Sambati e Alessandro Quarta hanno assistito il collega Chiariello nel confronto con la gip Proto, nel quale ha ammesso alcune contestazioni. E spiegato la natura del suo rapporto con De Benedictis: “Un’amicizia di lunga data”. Il rapporto di corruzione, invece, sarebbe relativamente recente, instaurato da quando De Benedictis è tornato a Bari dopo che nel 2015 era stato arrestato per possesso di armi e trasferito a Matera. Stando a quanto avrebbe riferito il professionista, sarebbe stato il magistrato a chiedergli aiuto per superare alcuni problemi personali.

Chiariello — che era molto provato — ha inoltre precisato alcune circostanze contenute nell’ordinanza e chiarito particolari che, secondo i suoi difensori, saranno utili per definire la sua posizione. Per lui non è stata ancora presentata istanza di scarcerazione: dopo l’interrogatorio è stato riportato nel carcere di Altamura, dove si trova da sabato. Gli avvocati di De Benedictis hanno invece chiesto al gip l’alleggerimento della misura cautelare, ritenendo che non esistano i presupposti per una misura tanto grave che il magistrato sta scontando nel penitenziario di Lecce.

A fare da spartiacque, secondo Ingraffia e Schirone, sarebbero quelle dimissioni presentate il 9 aprile, dopo la prima perquisizione che consentì ai carabinieri di trovare 60mila euro a casa del magistrato. “Non c’è alcuna possibilità che il giudice possa reiterare il reato — hanno spiegato dopo l’interrogatorio — considerato che non metterà più piede in tribunale. Né è concreto il pericolo di inquinamento probatorio, visto che ha ammesso le contestazioni che gli vengono mosse”.

Le fughe di notizie

Sono tante quelle venute alla luce durante le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Bari. Le ultime riguardano la consapevolezza da parte di De Benedictis e Chiariello dell’inchiesta di cui erano protagonisti. A metà gennaio l’appuntato dei carabinieri Nicola Soriano (in servizio alla sezione di polizia giudiziaria della Procura di Bari) era venuto a sapere che Chiariello era sotto inchiesta. In poche settimane era riuscito a procurare i verbali dei collaboratori di giustizia che lo accusavano: “Tutto a posto, ho fatto le copie”, diceva al giudice il 26 febbraio senza immaginare che le videocamere li stavano riprendendo.

Il magistrato replicava sminuendo le accuse: “Ma chi è questo che dice questa cavolata? Io non dico che è onesto (riferito a Chiariello), che probabilmente è pure uno zaraffo ma almeno è intelligente. Cioè almeno non siamo ai livelli di quell’altro cocainomane di avvocato…”. Il carabiniere informava inoltre De Benedictis che la gestione del pentito era affidata al pm Fabio Buquicchio e dopo pochi giorni tornava con tutta la documentazione che avrebbe dovuto restare assolutamente segreta.

Fra il magistrato e Soriano, del resto, stando a quanto ipotizza la Procura di Lecce, c’erano rapporti antichi e consolidati, toni confidenziali, uso di nomignoli e scambio di favori. Come quello chiesto da Soriano di definire favorevolmente un procedimento penale di un suo parente che non era ancora stato assegnato. “Ma può venire a te quel processo?”, chiedeva l’appuntato. “Se la cancelliera vuole, mi arriva”, era la risposta del giudice.

Avvocati favoriti

Non soltanto Chiariello, stando a quanto stanno ricostruendo i carabinieri anche in base alle dichiarazioni di un’avvocata che era intercettata. Era stata proprio lei a lamentarsi con Chiariello del trattamento riservato al cliente di due colleghi che qualche giorno prima aveva visto al bar con il giudice. E ancora lei a paventare un possibile scandalo: “Faccio una denuncia al pm. Perché il giudice De Benedictis ha messo fuori il cliente di quelli che millantavano un’amicizia con lui”. Di fronte a tale possibilità, Chiariello cercava di sminuire: “Questi sono imbroglioni, lasciali perdere che dicono fesserie”, adirandosi anche con il suo assistito che minacciava di sostituirlo con un altro penalista barese: “Ma lui si rende conto di chi sono io? Che sono sti capricci, questi rischiano vent’anni”.

A dare sostegno all’ipotesi di aiuti concessi dal giudice, nell’ordinanza vengono riportate conversazioni dell’avvocato arrestato con alcuni collaboratori: “Già li salvai a Lecce, ma non furono contenti perché dissero che otto anni erano troppi. A Bari ne avrebbero avuti 14, anzi una quindicina con Agnino (un altro gip) e non se ne rendono conto. E poi subito i domiciliari…”.

Caffè e mazzette

“Consigliere, ci prendiamo un caffè?” era la frase che l’avvocato Giancarlo Chiariello e il figlio Alberto (anche lui indagato per corruzione in atti giudiziari) pronunciavano quando volevano far capire a De Benedictis che c’era qualcosa di importante da discutere. E il giudice immediatamente si alzava, lasciava il telefono in ufficio e si avviava al bar nei pressi del tribunale di Poggiofranco.

Davanti al quale, però, c’erano i carabinieri in borghese. Fra le stranezze annotate in mesi di indagini c’è anche che i Chiariello avessero accesso facilitato al suo ufficio laddove le rigide norme anti-Covid hanno inibito la possibilità di ingresso senza appuntamento. I due indagati, invece, sembrava che quelle difficoltà non le incontrassero mai, tranne una volta in cui l’avvocato trentenne era arrivato in ritardo e si era giustificato con il magistrato: “Oggi entrare è stato un casino”. Al bar si ripeteva sempre lo stesso film: breve discussione fra Chiariello e De Benedictis, consegna di una busta, saluti, poi il giudice andava a posare la busta nella sua auto o tornava in ufficio a contare i soldi.

L’Ordine degli avvocati

“Si auspica che in un momento così delicato non venga meno l’affidamento della collettività verso i soggetti protagonisti della giurisdizione”, dicono dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati, chiamato a tutelare la categoria senza entrare nel merito di una vicenda che è ancora tutta da scrivere. L’Ordine non ha ancora ricevuto copia degli atti richiesta alla Procura di Lecce, ma ritiene che le circostanze riferite dai media siano “di estrema gravità” e “fonte di sbigottimento per l’avvocatura e la magistratura, oltre che di confusione e disorientamento per i cittadini”. La complicata situazione venuta alla luce — al netto di accertamenti e presunzione di non colpevolezza — per l’Ordine “impone che l’intero sistema giustizia si mantenga ancora più saldo nei principi dettati dalla Costituzione, dalla legge e dalla deontologia”.

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