Giudice arrestato a Bari, le scarcerazioni facili ai boss di Japigia e le armi di Andria al setaccio degli inquirenti

Dalle carte dell’inchiesta spuntano nuovi particolari sui presunti favori dell’ex magistrato ai clan baresi. Al vaglio le dichiarazioni del pentito Milella di Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

 

« Non ti preoccupare, che piano piano li stanno facendo uscire tutti dal carcere…»: così dicevano, nel novembre 2019, le mogli di due esponenti del clan Parisi-Palermiti di Japigia. Il giudice Giuseppe De Benedictis li aveva fatti arrestare per reati di mafia e — stando a quanto ha raccontato il pentito Domenico Milella — uno a uno, dopo poche settimane, li aveva mandati ai domiciliari nel loro quartiere o a poca distanza. E non soltanto quelli assistiti dall’avvocato Giancarlo Chiariello.

Le dichiarazioni di Milella sono materiale su cui indaga la Dda di Lecce e assumono rilievo ancora maggiore alla luce dei legami fra De Benedictis ed esponenti della criminalità barese che lentamente vengono fuori, nonché della scoperta di un arsenale di armi da guerra in una masseria ad Andria. Il sospetto — tutto da verificare — è che nella vicenda fosse coinvolto proprio il magistrato di Molfetta. Per ora è stato arrestato il proprietario dell’edificio, l’andriese 56enne Antonio Tannoia (un imprenditore agricolo incensurato) e diversi pregiudicati sono indagati, ma il nuovo filone investigativo promette sorprese.

Le armi

Centonovantasette pezzi tra fucili mitragliatori d’assalto (Uzi, Kalashnikov, AK47, M12, AR15), carabine, pistole, bombe a mano, perfino mine anticarro e detonatori, erano nascosti nella botola di un casolare a servizio della masseria di Tannoia, in contrada Borduito ad Andria. Lì i poliziotti della Squadra mobile — guidati dal primo dirigente Filippo Portoghese — sono arrivati il 29 aprile con il decreto firmato dai pm salentini Roberta Licci e Alessandro Prontera. Ovvero gli stessi che hanno chiesto e ottenuto, una settimana fa, l’arresto del giudice Giuseppe De Benedictis, dell’avvocato Giancarlo Chiariello e del pregiudicato viestano Danilo Pietro Della Malva. Le due inchieste sono strettamente collegate: quella per corruzione in atti giudiziari è scaturita dalla segnalazione da parte della Dda di Bari di alcune scarcerazioni facili firmate da De Benedictis e dalla trasmissione dei verbali di Milella.

Quella sulle armi, invece, è nata dall’ascolto di alcune intercettazioni a carico di pregiudicati nell’ambito di un’inchiesta dell’Antimafia di Bari. In quelle telefonate non soltanto si faceva il nome di De Benedictis, ma emergevano possibili illeciti da lui commessi: per tale motivo il fascicolo è stato trasmesso a Lecce. Dopo aver scoperto l’arsenale gli investigatori hanno rintracciato il proprietario della masseria, il quale ha avuto un atteggiamento collaborativo fin quando si è trattato di ammettere la presenza delle armi. Bocca cucita, invece, in relazione al motivo per cui fucili, bombe e pistole fossero lì e su chi fosse il proprietario. Tannoia è stato arrestato per detenzione di armi comuni da sparo e da guerra, detenzione di esplosivi e ricettazione. Il materiale, tutto perfettamente funzionante, è ora all’esame della polizia scientifica, mentre la Squadra mobile sta preparando l’informativa da consegnare agli inquirenti.

I favori agli japigiani

A Lecce i pm stanno valutando le dichiarazioni rilasciate da De Benedictis nell’interrogatorio del 29 aprile. Perché se i quattro episodi corruttivi relativi alle scarcerazioni di pregiudicati avvenute di recente (e oggetto dell’ordinanza cautelare) sembrano chiarissimi, più complesse sono le questioni che riguardano il passato. Fra gli episodi all’attenzione dei carabinieri di Bari ci sono quelli relativi alla concessione dei domiciliari a nove esponenti del clan Parisi- Palermiti e del gruppo Martiradonna tra fine 2019 e inizio 2020. La Dda di Bari ha segnalato i casi di Filippo Mineccia (genero del boss Eugenio Palermiti), Radames Parisi (fratello del boss Savinuccio), Raffaele Addante, Francesco, Michele e Angelo Martiradonna, Giuseppe Loglisci, Paolo D’Amato, Antonio De Fano.

Oltre all’avvocato Chiariello, ad assisterli erano altri sette colleghi del Foro di Bari. Il sospetto della Procura di Bari prima e di Lecce è che i pregiudicati abbiano avuto un trattamento di favore da De Benedictis, dietro compenso. Sul punto, d’altronde, i racconti di Milella sono molto chiari: «La moglie di Loglisci disse a mia moglie che lui sapeva che sarebbe stato scarcerato prestissimo e che sarebbe tornato a casa a Japigia e che pian piano sarebbero tornati tutti » . In effetti Loglisci dai domiciliari a Rignano Garganico tornò nel quartiere. E Filippo Mineccia non fu mandato a Japigia ma a Torre a Mare, pochi chilometri più in là. Anche lui aveva annunciato la scarcerazione ai suoi sodali, perché sapeva di avere il giudice giusto e che « dobbiamo fare in fretta prima che passa al gup». A detta di Milella, il sistema per essere scarcerati pagando era talmente noto fra i clan di Bari da essere usato da almeno dieci anni. E suggerito a chi era di fuori: «A Della Malva gliel’ho detto io di nominare Chiariello. Perché lui aveva De Benedictis come gip e quindi poteva uscire».

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