Giudice arrestato a Bari, al telefono diceva: “L’avvocato Chiariello è stato la rovina mia. Minimo mi danno quattro anni”

Agli atti le conversazioni dell’ex gip con un carabiniere: “Sto nervoso io e tutti gli amici nostri”. La telefonata è stata ascoltata dagli investigatori il 13 aprile, quattro giorni dopo la perquisizione – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Chiariello è stato la rovina mia“. Parlava così l’ex giudice Giuseppe De Benedictis in una telefonata con un caro amico, carabiniere in pensione, che conosceva tutti i suoi segreti e con tramite il quale avrebbe fatto favori a medici, politici e imprenditori. La telefonata è stata ascoltata dai carabinieri il 13 aprile, quattro giorni dopo la perquisizione che aveva permesso di scoprire prima 5mila 400 euro addosso al giudice, appena uscito dallo studio dell’avvocato barese Giancarlo Chiariello, e 65mila euro che erano nascosti dietro le prese elettriche della sua abitazione. Consapevole della gravità della situazione, il magistrato si aspettava di essere arrestato da un momento all’altro e non ne faceva mistero all’amico, al quale aveva telefonato dal numero di casa, dopo il sequestro di cellulare e computer.

L’arresto, effettivamente, è arrivato dopo altri 11 giorni: il 24 aprile, giorno in cui sono finiti in carcere anche l’avvocato Chiariello e il pregiudicato viestano Danilo Pietro Della Malva. L’accusa è corruzione in atti giudiziari, dalla quale De Benedictis già il 13 aprile era convinto di non potersi liberare con facilità: “Questo reato poco poco, il minimo sono sei anni. Se mi vogliono bene mi danno il minimo, meno le generiche sono quattro anni. E se mi vogliono male?”. Sul fatto che la misura cautelare sarebbe scattata da lì a breve non c’erano dubbi: “È inevitabile, io sono del mestiere.

Possono essere altri due giorni, può essere una settimana, ma la deve dare. Il fatto stesso che non hanno sparso la voce, perché? Perché adesso devono fare il botto, boom! Se mi arrestano mi portano a Lecce, se mi danno i domiciliari me ne vado a casa di mia madre buonanima”. E anche dell’eco che avrebbe avuto la vicenda, De Benedictis era cosciente: “Devi vedere, quando esce su tutti i giornali “Arrestato il giudice De Benedictis” come devono godere le persone”.

Al di là dei problemi di forma, però, il magistrato sapeva bene che un eventuale arresto avrebbe scatenato una valanga dalla quale difficilmente si sarebbe salvato ovvero un procedimento disciplinare da parte del Csm, da anticipare con le dimissioni (che ha in effetti presentato), ma che comunque lo avrebbe portato a dire addio alla magistratura. E anche alla pensione.

“Il problema è che io ora ho 38 anni di contributi – diceva – Ce ne vogliono 43 per prendere la pensione e non li posso neanche pagare io perché è proibito ai dipendenti pubblici, quindi devo trovare un altro lavoro che mi fa cinque anni di contributi”. “Ma si trova, si trova”, lo rassicurava l’amico. Che non tralasciava di rimproverarlo per l’azzardo che aveva fatto con Chiariello: “Io la cosa che mi imbestialisce è che tu non hai bisogno Pinu’ di queste cazzate… Questo cristiano, maledetto il giorno che è venuto. Quante volte ti ho detto: “allontana tutti, allontana tutti””.

E il giudice rispondeva: “Eh, allontana tutti, che ne sapevo, che quello, che è il migliore avvocato di Bari, si doveva comportare così… Al diavolo Chiariello, chi se ne frega se va in galera, che me ne frega, alla fine dei conti è stato lui la rovina mia”. Una rovina che, sapeva bene De Benedictis, avrebbe potuto trascinare nel fango altre persone: “Sto nervoso, io, tutti gli amici nostri, Nicola…”.

Anche se nella sua mente c’era anche una sorta di convinzione su un’attenzione particolare da parte della Procura di Lecce nei suoi confronti: “Una cosa ho capito, che Lecce non mi ha mai lasciato in questi dieci anni, come sono tornato a Bari: puum e da capo”. Quando pronunciava queste frasi, De Benedictis aveva già presentato le dimissioni dalla magistratura. Ma l’allontanamento non è servito ad evitargli il carcere né a indurre la gip Giulia Proto a concedergli i domiciliari dopo l’interrogatorio. Troppi legami – ha scritto la giudice – anche con pubblici ufficiali e quindi un evidente pericolo di inquinamento probatorio.

Del resto, dalle indagini dei pm di Lecce emerge che De Benedictis poteva contare almeno su un altro carabiniere che lavorava negli uffici giudiziari. Si tratta di colui che nelle telefonate intercettate viene chiamato “il nanetto”, al quel si chiede di informarsi su alcune indagini e di verificare le posizioni di indagati amici del giudice: “Il fatto di Franchino è più delicato – diceva l’ex gip il 7 settembre – domani il nanetto mi deve dire come stanno le cose”.

Su chi sia “il nanetto” i carabinieri del Nucleo investigativo di Bari non hanno molti dubbi. E anche su di lui sono in corso una serie di approfondimenti, anche perché – stando a quanto ricostruito – si tratterebbe di una persona che è stata al servizio di diversi sostituti procuratori e rispetto al quale De Benedictis si preoccupava di un eventuale trasferimento deciso da parte del procuratore vicario Roberto Rossi. 

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