Favori, depistaggi e corruzione: con Capristo nelle Procure di Taranto e Trani in scena un sistema di potere

Gli uffici giudiziari pugliesi al centro dell’inchiesta su due gruppi che ruotavano attorno all’ex procuratore. Anche in questo caso spuntano i nomi di Nardi, Savasta e Scimè come nelle precedenti indagini sulla Bat. Sullo sfondo la partita dell’ex Ilva e persino i tentativi di depistaggio dopo un incidente mortale fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Uffici giudiziari “utilizzati come il palcoscenico di un sistema di potere“: a questo erano state ridotte le Procure di Trani prima e Taranto poi, quando a guidarle era Carlo Maria Capristo. Per lui la Procura di Potenza, coordinata da Francesco Curcio, aveva chiesto di nuovo gli arresti a distanza di un anno da quello per concussione nei confronti di una pm, ma il gip Antonello Amodeo ha ritenuto che le dimissioni dalla magistratura contengano le esigenze cautelari nei limiti dell’obbligo di dimora.

La custodia in carcere è stata invece disposta per l’avvocato siciliano Pietro Amara, le cui recenti rivelazioni sulla Loggia Ungheria fanno tremare la politica e il Csm, e per il poliziotto materano Filippo Paradiso, ” relation man” di Amara grazie ad anni di servizio in diversi ministeri. Ai domiciliari sono finiti l’avvocato tranese Giacomo Ragno ( già condannato a due anni e otto mesi nel processo sul cosidetto ” Sistema Trani”) e Nicola Nicoletti, socio di Pwc (PricewaterhouseCoopers) e già consulente Ilva. Nessuna misura, a dispetto della richiesta dei pm (Curcio e la collega Valeria Farina Valaori, per gli ex magistrati tranesi Michele Nardi e Antonio Savasta (anch’essi già condannati per corruzione in atti giudiziari) e avvisi di garanzia per l’imprenditore coratino Flavio D’Introno, il carabiniere Martino Marancia e il commercialista Franco Balducci. Le ipotesi di reato contestate a vario titolo sono abuso d’ufficio, favoreggiamento, corruzione in atti giudiziari, corruzione nell’esercizio delle funzioni, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, concussione, tradotte in cinque capi di imputazione che separano i presunti reati commessi a Taranto da quelli commessi a Trani. E individuano due gruppi che orbitavano entrambi attorno a Capristo.

Il “Sistema Trani”

La storia ricostruita dal Nucleo di polizia economico finanziaria e dalla Squadra mobile di Potenza è iniziata molti anni fa a Trani, dove Capristo aveva un rapporto privilegiato con l’avvocato Ragno ma non disdegnava di frequentare anche altri penalisti. Per arrivare a Trani il procuratore sarebbe stato sponsorizzato da Michele Nardi, che aveva importanti conoscenze politiche anche in virtù del ruolo svolto dal padre ( anch’egli magistrato). Per ricambiare il favore, Capristo avrebbe dirottato alcuni procedimenti penali di cui era protagonista in prima persona o a carico di amici e addirittura da Nardi avrebbe ricevuto una denuncia contro l’allora gip Maria Grazia Caserta tramite sms, attivandola immediatamente con delega alla polizia giudiziaria.

” Nardi, Savasta, Scimè erano tutti coinvolti in questa vicenda, che accomodava le questioni giudiziarie a Trani – ha raccontato Flavio D’Introno – Io aspettavo davanti la stanza del procuratore, Nardi entrava nell’ufficio di Capristo e gli dava indicazioni, quando usciva mi diceva tutto ok ” . In una circostanza il capo dei pm si sarebbe recato insieme con il giudice da Savasta per depositare un’integrazione di querela da parte di D’Introno e ” perorare la mia situazione, perché era molto delicata ” . Dall’ordinanza del gip Amodeo emerge dunque che l’inchiesta lucana è il secondo capitolo di quella di Lecce che nel 2019 portò all’arresto di Nardi e Savasta, recentemente condannati a 16 anni e 4 mesi e a 10 anni. Capristo – è scritto nelle carte – non soltanto sarebbe stato al corrente degli illeciti che si consumavano nel suo ufficio, ma non avrebbe fatto nulla per fermarli. E, anzi, in alcuni casi, ne avrebbe tratto vantaggi personali. “Sulla Procura piovevano esposti a pioggia – scrive il giudice – ma lui chiudeva gli occhi sui comportamenti illeciti tenuti da Antonio Savasta e Luigi Scimè” ( l’altro ex pm di Trani già condannato a quattro anni a Lecce).

Gli approcci al Csm

Si sarebbero concretizzati negli anni in cui Capristo aveva provato a diventare procuratore generale di Bari, ma era stato superato da Anna Maria Tosto e quindi aveva deciso di puntare su Taranto. Per farlo aveva chiesto aiuto all’avvocato Amara e al poliziotto Paradiso, utilizzando quello che il gip definisce il loro ” network di rapporti e relazioni ” . ” Amara voleva Capristo a Taranto ” , ha ricostruito davanti ai pm lucani Giuseppe Calafiore ( ex socio del penalista) perché attorno all’Ilva giravano soldi a palate, incarichi e potere. A fine 2015 Capristo e Amara avrebbero stretto un patto: il primo lo avrebbe aiutato ad accreditarsi con Eni avviando a Trani l’inchiesta sul falso complotto contro l’ad Claudio De Scalzi e il secondo avrebbe messo in campo le sue conoscenze romane. Non a caso nella storia compaiono la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, all’epoca componente del Csm, che votò a favore della nomina di Capristo ma ha escluso di avere ricevuto pressioni da qualcuno; l’altra componente del Consiglio superiore della magistratura Paola Balducci: l’ex ministro Luca Lotti, che con il magistrato andò a pranzo; l’ex ministro Francesco Boccia, che ascoltato a Potenza ha ammesso di avere chiesto informazioni a Balducci sulla pratica Capristo ma ha negato di avere ricevuto o esercitato pressioni politiche per la nomina. Nessuno di loro è indagato, ma alcuni sono stati ascoltati come persone informate sui fatti. Senza dimenticare l’immancabile Luca Palamara, che in quegli anni era uno fra burattinai del correntismo e che in una chat con Francesco Canzanzi, collega al Csm, commentava: ” Di Capristo si dicono cose pessime, purtroppo troppe cose mi hanno schiacciato ” , per spiegare che quella nomina a Taranto l’aveva comunque dovuta votare. Per festeggiare l’incarico fu organizzata “la cena della vittoria” a casa Amara a Roma. All’epoca l’avvocato era già consulente dell’ex Ilva: anche in questo i pm potentini vedono un atteggiamento poco trasparente di Capristo, che festeggiava la sua nomina con gli indagati dell’inchiesta più importante che la Procura che si apprestava a dirigere avesse mai condotto.

La partita Taranto

Sull’attività nella città ionica Capristo avrebbe puntato tutto. Perché l’indagine sull’acciaieria aveva risvolti politico-economici smisurati e proprio in relazione a essa sarebbe stato messo in atto quello che il giudice Amodeo definisce ” un sistema di corruzione più grave del banale scambio di bustarelle ” , che non prevedeva passaggio diretto di denaro ma utilità per tutti. A partire da quel Nicola Nicoletti che polizia e guardia di finanza hanno ricostruito essere stato molto attivo come sponsor della nomina di Capristo a Taranto. E che dopo l’insediamento del procuratore ” aveva quasi la pretesa che lui dovesse fare atti favorevoli a Ilva – ha spiegato l’avvocato Angelo Loreto, uno dei difensori di Ilva – come se avesse ricevuto rassicurazioni ” . Nicoletti era diventato un consulente dell’Ilva in amministrazione straordinaria: ” Tanto operativo da sostituire Laghi”, ha detto il colonnello dei carabinieri Michele Sirimarco ( all’epoca in servizio al ministero dell’Ambiente), e capace di influire anche su altre nomine nel siderurgico. Come quelle dell’avvocato Ragno, al quale furono affidati quattro incarichi, che in due anni gli fruttarono oltre 250mila euro. Sul punto gli inquirenti hanno sentito anche l’ex commissario Enrico Laghi, che ha escluso di avere ricevuto pressioni per le nomine e ha ipotizzato che Nicoletti abbia usato il suo nome. Di certo gli investigatori hanno ricostruito che dopo l’arrivo di Capristo a Taranto l’atteggiamento della Procura ( prima guidata da Franco Sebastio) verso Ilva cambiò radicalmente. Lo ha ammesso lo stesso Laghi, spiegando che il nuovo procuratore aveva assunto ” una posizione più favorevole verso il patteggiamento ” , che avrebbe consentito a Ilva di uscire velocemente dal processo ” Ambiente svenduto” ed evitare la catastrofe giudiziaria che si è poi concretizzata dieci giorni fa. “Capristo – è scritto nell’ordinanza – garantiva un riposizionamento del suo ufficio rispetto alle pregresse, e più rigorose, strategie processuali della Procura ” . E sul punto sono state chiarissime anche le dichiarazioni della pm tarantina Giovanna Cannalire.

I giornalisti

Oltre ai problemi di inquinamento l’ex Ilva doveva fare i conti anche con numerosi incidenti, alcuni dei quali mortali. Per dissimulare le responsabilità della dirigenza nel decesso di Giacomo Campo ( nel settembre 2016), Capristo avrebbe messo in piedi la falsa ipotesi del sabotaggio e avrebbe cercato di divulgarla alla stampa. Per questo alcuni giornalisti tarantini sono stati ascoltati dai magistrati di Potenza, davanti ai quali hanno spiegato le modalità con cui la Procura aveva divulgato quelle notizie. Pochi giorni dopo la morte di Campo fu disposto il dissequestro dell’area dell’incidente, proprio nei giorni in cui – come da testimonianze – i commissari dell’Ilva ” entravano e uscivano dall’ufficio di Capristo”.

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