fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it
L’accusa non verrà mai provata in una aula di giustizia, perché i fatti sono ormai troppo datati. Ma il sospetto – forte – è che l’ex pm tranese Antonio Savasta, in carcere per aver favorito l’imprenditore Flavio D’Introno, possa aver insabbiato una indagine sull’ex patron della Fc Bari, Cosimo Giancaspro, coinvolto a Molfetta in una vecchia storia di mazzette che il magistrato avrebbe tenuto in un cassetto fino a farla prescrivere.
Per questa vicenda la Procura di Lecce ha iscritto Savasta con l’ipotesi di abuso d’ufficio, rilevando però l’«epoca remota cui risale la gestione di quelle indagini» e dunque la difficoltà di muovere una specifica contestazione. Tuttavia il gip Giovanni Gallo l’ha ritenuta rilevante «sotto il profilo della valutazione delle esigenze cautelari» a carico dell’ex pm, poi trasferito a Roma come giudice.
Siamo nel 2011, quando Molfetta fu svegliata dai 30 arresti dell’operazione «Mani sulla città» imperniata sull’allora dirigente dell’ufficio tecnico Rocco Altomare: tangenti in cambio di permessi per costruire. In un rivolo di questa storia incappa anche Giancaspro, all’epoca commercialista di un imprenditore, Mauro Spadavecchia, interessato a sbloccare l’autorizzazione per ristrutturare l’ex hotel Tritone. Nel 2009, Di fronte alle difficoltà con il Comune, Giancaspro avrebbe favorito un incontro tra Spadavecchia e il fratello di Altomare, titolare di uno studio tecnico, sollecitando il primo ad affidare un incarico di progettazione al secondo, oppure a cedere all’Altomare un piano dell’edificio. Sia come sia, a un certo punto la pratica si sblocca e si parla di una mazzetta da 500mila euro che sarebbe stata corrisposta in due tranche. È proprio Giancaspro a raccontare della tangente a Savasta, che nel 2011 lo iscrive con l’accusa di millantato credito.
Quando Savasta lascia Trani, i suoi fascicoli vengono passati al setaccio dal pm Giovanni Lucio Vaira, che manda una serie di relazioni alla Procura di Lecce. Una riguarda, appunto, la vicenda di Giancaspro: all’esame degli atti, l’accusa di millantato credito a carico dell’allora commercialista appare infatti «fin troppo prudenziale», mentre quella di corruzione nei confronti di Altomare, di Spadavecchia e di Giambattista Del Rosso (componente della commissione locale per il paesaggio, che nel 2011 era finito ai domiciliari) era stata nel frattempo archiviata. Pur avendo raccontato lui delle tangenti, «assumendo su di sé anche il ruolo di concorrente nel reato» di corruzione, Giancaspro era stato insomma incolpato di essersi messo in tasca il mezzo milione «con il pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale necessario per la realizzazione del progetto edilizio di trasformazione dell’Hotel Tritone». Salvando così gli altri da tutte le accuse.
Pur trattandosi di fascicolo del 2011, Savasta lo manda a giudizio nel 2016 ma dimentica di documentare al giudice delle indagini preliminari l’avvenuto invio a Giancaspro dell’avviso di conclusione delle indagini. E gliene manda un secondo. L’udienza preliminare si tiene così a marzo 2017, a sette anni dai fatti (il reato si prescrive in sei). Questo, annota il gip Leone, «fa sì che il Gip chiamato a decidere sulla tardiva richiesta di rinvio a giudizio non possa che dichiarare l’intervenuta prescrizione del reato» contestato a Giancaspro. Nella relazione mandata da Vaira alla Procura salentina viene rilevata «la mancata trasmissione al Gip (da parte di Savasta, ndr) degli atti relativi alla notifica dell’avviso 415 bis cpp – pur effettuata – con conseguente declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio e la – ingiustificata – nuova emissione di avviso 415 bis cpp con conseguente allungamento ulteriore dei tempi di definizione, che determinavano, come detto, da ultimo una declaratoria di non doversi procedere per prescrizione del reato». E dunque Giancaspro, oggi ai domiciliari per il crac della Finpower, ha evitato di dover rispondere anche di millantato credito.